Giuseppe de Lucia, Consigliere Nazionale FERPI
Tra memoria e futuro, il racconto di un’assemblea che celebra l’orgoglio industriale italiano e rilancia il ruolo dei manager come costruttori del domani.
Quando entro nella sala dell’assemblea, c’è un’aria solenne ma viva. I volti dei dirigenti, degli imprenditori, dei rappresentanti del Governo e persino di un Cardinale raccontano che oggi non è solo una celebrazione: è un passaggio di testimone.
Federmanager compie ottant’anni, ma sembra guardare avanti più che indietro. Il presidente prende la parola con tono fermo ma appassionato. Ripercorre la storia della federazione – dal 1945 a oggi – e sento l’orgoglio di chi sa che la propria comunità ha accompagnato ogni stagione della crescita industriale italiana. “Federmanager è la casa di chi guida con etica e responsabilità”, dice. E subito dopo: “Il nostro compito è produrre futuro”.
Scorrono i dati che fanno riflettere: l’Italia è ancora la seconda manifattura d’Europa, ma solo il 5% delle imprese è realmente managerializzato. È da qui, spiega, che bisogna ripartire: da 20mila nuove aziende da far crescere e dirigere con competenza.
Penso che non sia solo un obiettivo economico: è una visione del Paese.
Poi il discorso si allarga. Si parla di politica industriale, di energia, di innovazione. Il presidente cita l’idrogeno e il nucleare, ma anche la necessità di una rete digitale moderna e di un Mezzogiorno “non problema, ma potenziale da liberare”.
Mi colpisce quando dice che “la tecnologia deve servire la persona, non sostituirla”: una frase semplice, ma che sembra racchiudere tutto il senso di questo incontro.
C’è anche spazio per la memoria. Il presidente ricorda i manager che, ottant’anni fa, salvarono le fabbriche italiane dalla distruzione bellica. Li chiama “eroi silenziosi”. In sala cala un silenzio denso, quasi grato.
Poi lo sguardo torna al presente: pensioni da difendere, fiscalità da riequilibrare, formazione continua da rilanciare.
“Non chiediamo interventi spot – dice – ma una visione di lungo periodo che integri industria, lavoro e welfare”.
Mentre ascolto, mi rendo conto che questo non è solo un discorso “di categoria”. È un manifesto per un’Italia che vuole ancora produrre, innovare, crescere con dignità.
E quando il presidente chiude dicendo che “la dignità del lavoro umano non è un principio economico, ma un valore universale”, scatta l’applauso.
Un applauso lungo, convinto, che suona come una promessa: quella di continuare a costruire il futuro, insieme.