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Disastri ambientali, parole e burocrazia

07/11/2012

Le inondazioni di New York causate dall’uragano Sandy e l’acqua alta, che puntuale come ogni anno, ha invaso Venezia sono più vicine di quanto si pensi. Tanto per la lentezza di realizzazione di opere di difesa quanto, drammaticamente, per l’assordante silenzio che sembra riguardare il tema dei cambiamenti climatici.


di Sergio Vazzoler e Martina Borsoi
“Vogliamo che i nostri figli vivano in un’America che non sia minacciata dalla potenza distruttiva di un pianeta surriscaldato”: queste le parole usate da Barack Obama nel discorso pronunciato subito dopo la sua rielezione a Presidente degli Stati Uniti.
Ma basteranno le parole e il rinnovato impegno annunciato in mezzo alla gente festante di Chicago?
Per rispondere, ripeschiamo un’altra frase di appena qualche giorno fa: “Gli avvertimenti c’erano stati, più e più volte”.
Questo l’incipit dell’articolo con cui il New York Times fa il punto sui danni conseguenti al passaggio di Sandy, la tempesta tropicale che ha colpito la costa atlantica degli Stati Uniti, lasciando dietro di sè tra i 30 e i 50 miliardi di dollari previsti per la ricostruzione.
Sono dieci anni, secondo la testata statunitense, che gli scienziati spiegano alle autorità cittadine e dello Stato, che New York è a pericolo inondazioni. L’allarme risuonò in modo eclatante già lo scorso anno, quando la tempesta tropicale “Irene” colpì l’isola e causò il blocco della metropolitana. Martedì, dopo il passaggio dell’uragano Sandy, le autorità locali hanno iniziato, per la prima volta, a pensare a soluzioni infrastrutturali che potrebbero proteggere i punti sensibili della città e i suoi otto milioni di abitanti da ripetuti danni disastrosi.
Quello che gli scienziati temono ora è che, una volta conclusi i lavori per riportare la città alla “normalità”, i cittadini si dimentichino di quanto successo. Non lo dimenticherà facilmente il sindaco di New York, Michael Bloomberg, da sempre attento alle questioni ambientali e che ora annuncia l’urgenza di adottare delle misure per gestire le future situazioni di emergenza, installando ad esempio delle barriere artificiali. Come spesso accade, però, c’è voluta la dolorosa conferma della perdita di vite umane e di enormi danni economici per attivare un progetto di difesa.
Un fil rouge che sembra collegare di questi tempi la metropoli statunitense con il capoluogo veneto, messo di nuovo a dura prova la scorsa settimana da pioggia, vento e oltre un metro di acqua alta. Anche a Venezia (con alcuni anni di anticipo rispetto a New York) si era iniziato a pensare alle barriere artificiali, il MO.S.E., il sistema integrato di opere di difesa costituito da schiere di paratoie mobili a scomparsa capaci di isolare la laguna di Venezia dal Mare Adriatico durante gli eventi di alta marea.
L’opera, avviata nel 2003 è lungi dall’essere conclusa, ma, puntali come l’acqua alta, arrivano ogni anno la rabbia e la frustrazione dei cittadini veneziani. “Il governo deve smetterla di lesinare sulla salvaguardia della città. Che il Mose entri in funzione un anno prima o un anno dopo non è indifferente, il cattivo tempo non aspetta i calcoli dei ragionieri” ha commentato il primo cittadino di Venezia, Giorgio Orsoni che scarica la sua rabbia sul governo centrale che da anni azzera la legge speciale e che ora zoppica anche sui fondi alle dighe mobili del Mose, il cui taglio del nastro è slittato dal 2014 al 2016. “Due anni di rischi in più per la città, perché a ogni acqua alta emerge la sua fragilità, senza interventi su rive, fognature e scavo dei rii. A che cosa servirà il Mose, per difendere una città spopolata o un cumulo di macerie?”
E pensare che in entrambi i casi (a New York e a Venezia) stiamo parlando di interventi certo importanti ma strettamente difensivi. Sullo sfondo rimane intatta la questione delle questioni: come si combattono non gli effetti ma le cause del climate change? Fin qua un silenzio assordante ci comunica la risposta.
Staremo a vedere se la volontà annunciata da Obama si tradurrà in qualcosa di più concreto nei prossimi anni. Nel frattempo Michael Bloomberg è già costretto a una nuova evacuazione: dopo Sandy, è in arrivo Nor’easter.
Tra poco avremo anche esaurito i nomi per gli uragani…
Fonte: Amapola
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