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Ferpenti volanti e sognanti

07/03/2023

Maria Bruna Pustetto

Oltre 30 anni fa, un'Assemblea FERPI a Trieste, un clima di fermento ed entusiasmo. Il ricordo nitido di una "Ferpente volante e sognante" di allora, Maria Bruna Pustetto.

In quell’anno, era il 1989 e qualcuno di noi aveva già in tasca il biglietto per andare a sentire i Pink Floyd a Venezia, grazie all’assemblea nazionale che si teneva praticamente sotto casa - parlo per me - eravamo finiti al Caffè degli Specchi in una piazza che già rivelava quel che sarebbe diventata.

Qualcuno si era avventurato sul molo Audace a guardare quell’acqua così nera e ferma da farci chiedere se veramente quello fosse un mare. Quel che era certo è che niente avveniva in silenzio perché avevamo tante storie da raccontare del nostro lavoro che poi era la nostra vita: le aziende che pagavano a 30 o 60 giorni, la necessità di un contratto standard da sottoporre ai clienti, il convegno organizzato dall’altra parte dell’Italia, la mappa delle sale disponibili da nord a sud e tutti curiosi del centro congressi di Rimini che ci pareva fantascienza.

Alle milanesi mancava la erre, i milanesi avevano clienti che noi di provincia ci sognavamo. Toni Muzi Falconi era un gentiluomo che trafficava con le multinazionali e girava il mondo, Aldo Chiappe di Genova smentiva l’ingenerosità dei suoi corregionali e per i suoi 80 anni avrebbe organizzato una festa a Milano che era un concentrato di ferpenti, così ci chiamavamo. Attilio Consonni, che classe! Era quello che avremmo voluto tutti diventare. E poi Serenella che teneva a bada noi scalmanati del Triveneto, quadri e professionisti. Ci incontravamo ai corsi di accreditamento, un’opportunità di apprendimento e una condizione necessaria per restare nella federazione. Tempo dopo si iniziò a parlare di corsi universitari in relazioni pubbliche e, chissà perché, pareva che tutti saremmo finiti a Lecce come docenti o discenti. Credo che non se ne fece nulla. A Lecce intendo dire.

Noi ragazze eravamo indiavolate perché c’era stato chi, su qualche testata, aveva ridotto l’acronimo PR in Pranzi & Ricevimenti. E tutti a dire che dovevamo fare le pierre per le pierre per riportare la verità su un lavoro che non aveva quasi confine. Io che ero stata negli Stati Uniti al seguito della campagna elettorale del vecchio Bush (son tempi questi in cui ci son storie che non si dovrebbero nemmeno ricordare) e che mi industriavo con le campagne elettorali da nord a sud, potevo chiamarmi ancora pierre o dovevo limitarmi a definirmi consulente? Perché tutto girava attorno al concetto di comunicazione e quello che facevo era, o applicarla a me stessa per gestire gli altri, o insegnarla agli altri perché potessero interagire da vincenti con il prossimo. Si parlava di leader, non solo riferendoci alla politica, e ci guardavamo di sottecchi per capire chi di noi lo fosse. In realtà lo eravamo tutti perché ci eravamo buttati a capofitto, in un mondo senza tecnologie, in un altro che ci imponeva di essere dei visionari della comunicazione. Era un lavoro che si traduceva in fatica, in tanti aerei, tanti treni, un via vai continuo dove non c’era segno che non ce ne lasciasse un altro che avremmo trasformato in un progetto e poi in realtà.

Questi eravamo noi: ferpenti volanti e sognanti. Produttori e realizzatori di idee che ci parevano fantastiche. E lo erano, altrimenti non si giustificherebbe il fatto che continuiamo a ripeterci di aver svolto e star facendo il più bel mestiere al mondo in cui il valore vero siamo solo noi con quelle competenze che affiniamo ogni giorno confrontandoci, a Trieste allora, nel mondo oggi.

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