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Giornalisti e relatori pubblici: prove di dialogo al circolo della stampa di Milano

18/05/2004

Da qualche anno registriamo una caduta generale e contemporanea dei livelli di fiducia nelle istituzioni, nelle imprese e nei media.


Un sondaggio di Renato Mannheimer pubblicato la scorsa settimana dal Corriere ci ha detto che gli Italiani a nutrire fiducia nella democrazia sono dimezzati negli ultimi venti anni e che, anche da questo punto di vista, manteniamo saldamente il livello più basso fra i Paesi della vecchia Europa.
Le organizzazioni pubbliche, le imprese private e il sistema dei media costituiscono il triangolo al centro del quale noi relatori pubblici - al servizio ora degli uni, ora degli altri; ora degli uni e degli altri - svolgiamo il nostro intenso, sovente frenetico e sempre più influente lavoro di dialogo, costruzione, promozione, argomentazione e orientamento delle idee, dei comportamenti e delle decisioni: in una parola, il nostro lavoro di relazione e di comunicazione.
La saldezza della democrazia nelle nostre società si basa su un sano equilibrio dei livelli di fiducia che i cittadini nutrono per le istituzioni; che consumatori e investitori per le imprese; i lettori e i telespettatori per il sistema dei media. Il rapporto fra questi diversi livelli di fiducia può variare a seconda delle circostanze. Normalmente se ne cala uno ne sale un'altro e, complessivamente, si mantengono abbastanza in equilibrio. Ma da qualche anno registriamo una caduta generale e contemporanea: crolla la fiducia nelle istituzioni, nelle imprese e nei media.Fino al punto da determinare l'innesco di un circuito perverso nel quale i relatori pubblici rischiano di trasformarsi da agenti di cambiamento e consolidamento democratico, in agenti di propagazione della malattia, quasi fossimo monatti, se non addirittura untori.
Le ragioni che determinano questo fenomeno sono tante e su alcune, come professionisti, non possiamo fare alcunché anche se come cittadini possiamo sforzarci di selezionare con maggiore cura gli eletti; come consumatori di premiare con maggiore attenzione le imprese dai comportamenti virtuosi e come lettori e telespettatori di decifrare con consapevolezza le mille insidie nascoste nelle informazioni che ci raggiungono.
Ma come professionisti possiamo invece intervenire direttamente, e come !, su una delle ragioni più importanti di questo declino generale: i processi di relazione che intratteniamo con i nostri più diretti interlocutori (politici e amministratori pubblici, imprenditori e manager, giornalisti) vanno ripensati alla radice (zero based…come si sarebbe detto qualche anno fa) perché si basano da decenni su riti, miti, percorsi e processi che non hanno fatto i conti con gli straordinari cambiamenti intervenuti in ciascuno dei tre corpi sociali (pubblico, privato, informazione) con i quali abitualmente interloquiamo.
Mille buone ragioni consigliano di partire in questo percorso di rivisitazione dalla relazione con i giornalisti.In Inghilterra, a fare scattare la molla della prova di dialogo è stato il caso Campbell, in Italia sono stati gli scandali finanziari. Non importa da dove si avvia, l'importante è che il confronto si avvii con piena consapevolezza della posta in gioco.
In condizioni normali, potremmo affermare che la riunione al Circolo della Stampa di Milano di Lunedì scorso - alla quale hanno partecipato un centinaio fra giornalisti, relatori pubblici e rappresentanti della comunità finanziaria - è andata piuttosto bene. I promotori si sono dichiarati soddisfatti, gli argomenti dibattuti sono stati stimolanti, la dialettica si è sviluppata vivace, le dichiarazioni di intenti e gli impegni a proseguire sono sembrati promettenti.
Eppure….eppure l'atmosfera era abbastanza rarefatta, fredda, quasi asettica… sembrava mancare la passione….quell'afflato che solitamente accompagna i momenti di svolta, di assunzione di consapevolezza della urgenza di rimediare, di rinascere, di dare vita a ‘un nuovo inizio'. Chi ha partecipato a uno qualsiasi di questi momenti, sia pure confusamente e inconsapevolmente, lo avverte e se lo ricorda per un bel po'.
C'è da sperare che i promotori non demordano e trovino sufficiente animus per non perdere un avviamento che, oggettivamente, partiva da condizioni non facili.
Il futuro, non tanto e non solo della nostra professione, ma della legittima ambizione di ciascuno di noi di vivere in un Paese dignitoso, capace di premiare i comportamenti, di competere con lealtà, arguzia e creatività, dipende dalla fiducia che le istituzioni, le imprese e i media sapranno attirare: e, se è vero che il nostro lavoro consiste nell'aiutare i nostri clienti e datori di lavoro a conquistare la fiducia dei loro pubblici influenti….allora tocca a noi avere le idee chiare su come cambiare marcia. Toni Muzi Falconi
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