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Giustizia: la sfida della comunicazione

03/11/2011

Le litigation Pr, le attività di relazioni pubbliche e comunicazione che accompagnano le fasi di un procedimento giudiziario, sono una delle sfide più attuali per la nostra professione. Se ne è discusso a Roma in un convegno promosso dalla rivista _Reset_ in collaborazione con _Ferpi_ e _Anm,_ l’Associazione Nazionale Magistrati.

“Esiste una questione di comunicazione nel sistema giudiziario che possiamo affrontare insieme: magistrati, avvocati, giornalisti e relatori pubblici". Questa affermazione della presidente di Ferpi sintetizza al meglio ciò che è emerso dal convegno sulle Litigation Pr promosso dalla rivista Reset in collaborazione con Ferpi e Anm lo scorso 27 ottobre a Roma.
Patrizia Rutigliano è stata tra i protagonisti, assieme a Luca Palamara e Giuseppe Cascini, rispettivamente Presidente e Segretario dell’ANM, l’avvocato penalista Ennio Amodio, l’avvocato Peter Alegi, Vice Presidente Centro Studi Americani, Rosanna D’Antona e Toni Muzi Falconi.
La tavola rotonda, introdotta e moderata dal direttore di Reset, Giancarlo Bosetti ha fatto il punto della situazione sul rapporto tra sistema giudiziario e sistema della comunicazione e sulle responsabilità delle diverse professionalità coinvolte. Sulla questione si sono accesi i riflettori all’indomani della sentenza del processo di Perugia che ha portato all’assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito imputati per l’omicidio di Meredith.
Secondo Luca Palamara, presidente dell’ANM “il vero cortocircuito” “si determina quando abbiamo lo svolgimento in parallelo del processo nell’aula del tribunale e negli studi televisivi e più in generale sui media”. Effettivamente, la sentenza di assoluzione dei due giovani imputati e il grande battage mediatico che l’ha preceduta, accompagnata e seguita, segna uno spartiacque in fatto di comunicazione e giustizia impegnando i due mondi ad una riflessione seria che porti al più presto alla condivisione di linee guida comportamentali.
“Il processo di Perugia è stata un’operazione mediaticamente riuscita, ha affermato Rosanna D’Antona, – che ha fatto registrare oltre 6 milioni di spettatori solo per la lettura della sentenza in diretta e che il giorno successivo ha ottenuto le prime pagine di tutti i giornali italiani americani e inglesi, senza contare il battage sul web.
Tanti gli interrogativi che vengono dall’analisi del processo di Perugia in particolare ma che più in generale sono quelli di una questione di grande attualità, come ha ricordato Giancarlo Bosetti. “Fino a che punto l’attività di comunicazione che ha accompagnato l’ultima fase del processo è compatibile con le norme della giustizia? Fino a che punto queste attività sono utili? Ci dobbiamo chiedere se l’intervento professionale dei relatori pubblici è lecito in questioni giudiziarie ma anche quale può essere l’apporto di queste attività alla giustizia? Gli interrogativi ci suggeriscono che siamo in un campo nuovo ma soprattutto che devono esserci dei confini, dall’una e dall’altra parte”.
Patrizia Rutigliano è entrata nel vivo della questione, prospettando alcuni diversi scenari professionali. “Le Relazioni pubbliche giocano un ruolo che tutela la reputazione di soggetti diversi e supporta le diverse professionalità e istituzioni o organizzazioni coinvolte nelle diverse fasi del processo: sono indispensabili. Ciò richiede, ovviamente, una preparazione adeguata e dunque conoscenze tecnico-giuridiche da parte di quei professionisti che vengono chiamati a lavorare in questo ambito. I processi penali sono quelli che riscontrano il maggiore interesse mediatico ma stanno emergendo diverse e nuove aree di intervento per le litigation pr anche nel civile nell’amministrativo.
Uno dei più interessanti è quello di sostegno alle questioni legali delle aziende. Secondo Luca Palamara, l’attenzione mediatica ai processi è relativamente recente”. Il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, ha posto l’accento su diverse questioni che riguardano l’insieme del sistema giudiziario e non solo il processo o alcune sue parti come i professionisti impegnati nella difesa e nell’accusa. “Il rischio più grande della mediatizzazione dei processi è la capacità dei media di influenzare e strumentalizzare alcuni degli attori coinvolti. Siamo ormai fuori dalla comunicazione ma alla spettacolarizzazione che mira a strumentalizzare la decisione giudiziaria e, ancora peggio, a tentare di influenzare il testimone e la decisione della giuria”.
“Il processo in sé è da sempre un atto comunicativo”, afferma Toni Muzi Falconi. “I processi come li conosciamo noi oggi tradiscono un modello comunicativo del diciottesimo secolo mentre il sistema della comunicazione si è evoluto e bisogna tener conto che è necessario garantire comunque che ogni attore coinvolto abbia la possibilità di esprimere le sue idee e poter muovere le leve dell’opinione pubblica.
L’agenzia di Rp di Seattle, la Gogerty Mariott aveva iniziato a seguire Amanda tre giorni dopo l’arresto, con lo scopo di dimostrarne l’innocenza.
“A noi relatori pubblici”, continua Muzi Falconi, “piacerebbe poter discutere con le altre parti di ‘regole del gioco’ che rendano più chiaro e trasparente in ogni sua fase il rapporto con avvocati e magistrati”.
Deciso l’intervento di Ennio Amodio, che prende la parola in una duplice veste, quella di avvocato penalista che si è occupato di problemi di comunicazione legati alla giustizia, da Mani Pulite a Parmalat, ma anche da studioso di procedura penale che si è occupato di tecnica di argomentazione, materia che ha insegnato all’Università.
Secondo Amodio “esistono due ordini di problemi: le premesse metodologiche e le regole empiriche della comunicazione. La retorica ci insegna che ogni argomentazione è in funzione dell’uditorio, cioè i
destinatari cui è rivolta la comunicazione e gli effetti che questa comunicazione può produrre. Il caso Amanda è l’effetto dell’incapacità di distinguere i due uditori: quello dell’opinione pubblica americana e quella italiana. Negli USA l’imputata è diventata un’eroina, in Italia è finita per apparire sgradevole ed irritante. Poi bisogna distinguere tra impatto ed efficacia. Esiste poi una disuguaglianza (asimmetria) sul piano della comunicazione tra accusa e difesa per un riflesso della struttura del processo. L’accusa ha un potere necessariamente più forte rispetto all’imputato. Poi esistono le regole che mi piace chiamare empiriche, facendo riferimento non al piano del dover essere ma a ciò che realmente avviene nella prassi dei processi. Questo è un tema estremamente delicato perché esiste un rischio concreto di passare da un’attività di informazione ad un’ attività di influenzamento”.
“Penso che la continua ricerca di simmetria tra le parti sia un errore culturale”, prosegue Giuseppe Cascini, segretario general dell’ANM . “Esiste innegabilmente una forte asimmetria nella comunicazione e spesso le responsabilità sono anche delle istituzioni giudiziarie che non si sono adeguate ai radicali cambiamenti della comunicazione e del sistema mediatico. Non è immaginabile isolare il processo dai media e dal pubblico. Ma i giudici, gli imputati, i pubblici ministeri, la giuria, gli avvocati sono uomini in carne e ossa che subiscono influenze dal mondo esterno. Non essendo in nessun modo regolato il procedimento giudiziario da un punto di vista comunicazionale, il passaggio degli atti del processo avviene senza regole e ci troviamo a confrontarci, come attori del sistema giudiziario, con i comunicatori. È necessario capovolgere il problema: prendere atto del fatto che le procure della repubblica comunicano, dunque c’è necessità di una regolamentazione e la comunicazione attiene alla responsabilità del Procuratore della Repubblica. E una maggiore trasparenza richiede una maggiore consapevolezza”.
Rosanna D’Antona ha evidenziato come il caso Amanda fosse una notizia mediaticamente “golosa”, infatti “conteneva tutti gli elementi capaci di trasformare il fatto di cronaca in una grande fiction: due giovani amanti, una ragazza bellissima, il sesso, la droga, l’amica assassinata, le notti brave… Una notizia che ha fatto quasi dimenticare la vittima concentrandosi sugli accusati e creando una sovraesposizione mediatica che ha trasformato il processo in un caso diplomatico internazionale. Il ruolo dei comunicatori è stato talmente
eclatante che oggi siamo qui riuniti a parlarne ma è anche importante sottolineare la lungimiranza di molti avvocati e di molte imprese che riconoscono l’importanza di governare – la comunicazione fin
dall’inizio della vicenda legale.
A concludere l’incontro, Peter Alegi che ha messo in luce come il tema del dibattito sia in realtà un argomento del futuro. Diversamente da quanto si pensi, in America sono pochissime le cause penali in cui vengono utilizzati professionisti della comunicazione e il termine “litigation public relations” è utilizzato solo per le cause civili. “Credo che non dovrebbe esserci simmetria tra accusa e difesa. In ogni paese civile l’accusato è presunto innocente fino a conclusione del dibattimento. Mi spaventa poi l’idea che il magistrato possa parlare fuori dall’aula. In America è vietato dall’etica giudiziaria. Qui invece questa tendenza è in aumento. Le comunicazioni devono essere fatte dagli uffici stampa o in aula”.
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