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Gli immigrati protagonisti... della pubblicità

19/04/2005

Segnaliamo questo interessante articolo sulla diversità e la comunicazione tratto dal Passaporto.it.

Da Il Passaporto.it - il giornale dell'Italia multietnicaImmigrazione e consumi: la pubblicità a caccia di nuovi voltidi Alessia Ripani ROMA - Una donna sudamericana ride allegramente mentre impasta la sfoglia, così com'è nella migliore tradizione bolognese. E un gruppo di ragazzi di colore emana "luce umana" dalle foto dell'ultima campagna firmata Oliviero Toscani. La prima, Betty, appare in tutte le grandi città, sui manifesti pubblicitari della Kickers, l'azienda delle scarpine con i buchi che ha deciso per la primavera-estate 2005 di dare il suo volto al "mondo ideal", come recita lo slogan. "Un mondo ideale - spiega Chiara Novella, responsabile comunicazione della Kickers dove le culture si integrano; una rivoluzione allegra, che non fa rumore e si manifesta nella quotidianità". Gli altri sono i ragazzi di Artemide, fabbrica leader dei prodotti per l'illuminazione, immortalati dal fotografo delle facce a colori di Benetton. Sono solo gli ultimi esempi in ordine di tempo di una società multietnica, che a fatica nonostante i tempi - lascia la strada per raggiungere gli studi pubblicitari.
Immigrati-target, immigrati-protagonisti
Sono due le questioni su cui ragionare guardando al rapporto pubblicità-stranieri nel mercato italiano. Una, vede gli immigrati come target, come destinatari della comunicazione commerciale. E gli esempi di campagne pubblicitarie destinate a loro sono pochissimi. "Le aziende si rivolgono direttamente ai cittadini immigrati spiega Anna Maria Testa, pubblicitaria e docente di comunicazione quando hanno prodotti specifici, come servizi di rimesse all'estero o di telefonia internazionale. È una questione di numeri. Fino a quando la percentuale della popolazione straniera in Italia sarà del 5% avremo la stessa percentuale di campagne dedicate. In California, ad esempio, i cartelloni sono scritti anche in spagnolo". E questo è un punto. Dall'altro lato, invece, c'è la rappresentazione di una società sempre più multietnica e multiculturale promossa attraverso la comunicazione commerciale. E qui, sono in molti a puntare il dito contro gli strateghi dell'advertising e il ritardo con cui i loro committenti "fiutano" i tempi.
Dalla K di Kaori alla Lancia Y, passando per BollywoodLe protagoniste della campagna Artemide Non che manchino gli esempi. Dall'antesignana Kaory, colf dalla bellezza orientale golosa di formaggio Philadelphia, alla nazionale di bob giamaicana che si prepara alle olimpiadi guidando una Fiat, passando per la moglie giapponese dell'italiano che lontano da casa sogna la pasta Barilla. E poi la nuova campagna della Lancia Y, in cui si assiste alla creazione di un'organizzazione contro il brutto formata da persone di diverse culture e nazionalità, o l'ormai mitica proposta di matrimonio indù dello spot di Rio Casa mia, detergente per la casa. "Il mio spot dice Francesco Nencini, regista del filmato in perfetto stile Bollywood racconta della conoscenza tra le famiglie di due promessi sposi, l'uno italiano e l'altra indiana; un incontro che si trasforma ben presto in una festa con tanto di danze e balli. Un anno fa, quando è stato realizzato, abbiamo individuato un trend che però fatica ancora ad affermarsi, nonostante il successo della campagna. Non ricordo spot simili per impostazione multiculturale. Circa il 10% delle persone intervistate nei sondaggi sul gradimento, comunque, l'ha trovato indelicato, quasi una presa in giro della comunità indiana. In realtà, i veri ridicoli erano i componenti dell'ingessata famiglia Lombardoni".
Gli extra-consumatori
Fuori dalle classificazioni, invisibili. Gli immigrati, per il marketing, semplicemente ancora non esistono. L'Eurisko, istituto di ricerche sociali, tenta da mesi di realizzare un'indagine sui consumi degli immigrati senza successo. "Non siamo ancora riusciti a trovare investitori interessati al progetto", spiega il direttore Giuseppe Minoia. L'Assirm, l'associazione degli istituti di ricerca e sondaggi d'opinione, invece, ha fatto un primo passo e ha analizzato, nel 2003, gli stili di vita degli immigrati, il loro livello di integrazione, la capacità di spesa. Interessante è notare come allora il 33% del campione rappresentativo di tutta la popolazione straniera non inviasse denaro a casa e il 18% di questi spedisse nei paesi di origine solo il 10% del proprio stipendio. Un dato che dimostra come il denaro sia dunque destinato a essere speso o investito nel mercato italiano. Dall'altro canto, solo il 13,9% del campione usava la pubblicità per informarsi sui prodotti da acquistare. Come mai?
I pubblicitari e i committenti
Secondo Pietro Rovatti, esperto di strategia, la colpa è anche della comunicazione commerciale che non ha saputo "parlare" a queste persone e creare un vero contatto con loro. Mentre il collega Gaetano Grizzanti pensa che l'ostacolo maggiore all'integrazione dei consumi sia la voglia che hanno gli stranieri di servirsi nei piccoli esercizi in cui trovano i prodotti specifici delle loro tradizioni. Microcosmo di consumi lo chiamano. Ma non è un segreto che spesso le aziende che commercializzano prodotti conformi alla sensibilità religiosa di altre culture, ad esempio, non vogliano evidenziarlo sulle confezioni temendo un effetto boomerang sugli acquirenti italiani. "Una strada che si può percorrere e che sta prendendo sempre più piede dice Cecilia Gobbi, dell'Assirm è quella tracciata dalle case cosmetiche . Non si affidano più a un'unica modella, ma ne presentano tre contemporaneamente: una bianca, una di colore, una asiatica".
La responsabilità sociale della comunicazione commerciale. Sì? No?
"Fino a quando la pubblicità sarà in mano agli uomini marketing sarà una tragedia, per loro l'immigrato non è glamour", dice con lo stile che gli è proprio Oliviero Toscani. "Sono ciechi accusa - e non riescono a vedere dov'è che va il mondo. Senza considerare che finiscono per appiattire qualsiasi messaggio, rendendolo mediocre. D'altronde, è la società italiana ad essere in ritardo. Manca la cultura della multiculturalità. Gli investitori, poi, pensano solo al profitto. Non sanno nemmeno cosa vuol dire responsabilità sociale dell'impresa; non capiscono i danni che fanno nel proporre e riproporre sempre i soliti stereotipi. Capita raramente di trovare committenti illuminati'". "Ma non è possibile ribatte Anna Maria Testa che sia la comunicazione commerciale a farsi carico della promozione della società multiculturale. Non è giusto chiederglielo. Una società multiculturale, multietnica va promossa attraverso la scuola, nel lavoro, con un sistema di previdenza adeguato. Non mi sento meglio se vedo uno spot con un bambino filippino. Sono più tranquilla, però, se sua madre non lavora in nero".(14 aprile 2005 - ore 09.51)
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