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Il contributo della vision femminile per ridisegnare un sistema produttivo efficace e moderno: ostac

11/10/2006

Questo il titolo della ricerca realizzata in occasione del secondo Salone dell'Imprenditoria Femminile, in programma a Torino dal 18 al 21 ottobre. Eccone una sintesi.

In occasione del secondo Salone Nazionale dell'Imprenditoria Femminile, previsto a Torino tra il 18 e il 21 ottobre 2006 e patrocinato anche da FERPI, è stata realizzata da Adriana Castagnoli (docente all'Università degli Studi di Torino) la ricerca intitolata "Il contributo della vision femminile per ridisegnare un sistema produttivo efficace e moderno: ostacoli da rimuovere e opportunità da cogliere".Presentiamo qui una sintesi dei dati raccolti dall'indagine che andrà a costituire la piattaforma sulla quale si articoleranno gli interventi dei relatori al Salone GammaDonna.

L'imprenditoria femminile cresce in tutto il mondo sviluppato. A fatica, ma cresce.
E le difficoltà maggiori che incontrano le donne nel "fare impresa" attengono ovunque, anche nei Paesi più all'avanguardia, non già alla loro determinazione, alla loro capacità progettuale e gestionale o alla loro preparazione, bensì al reperimento dei capitali necessari per finanziare le strategie di sviluppo aziendale. Come dire, le trasformazioni sociali e le disposizioni legislative negli ultimi decenni hanno dato sì alle donne lo slancio per avviare nuove imprese ma non hanno
abbattuto gli ostacoli che ne rallentano l'affermazione e la crescita.Alcuni stereotipi culturali che attribuiscono alle donne minori ambizioni e limitato impegno nell'attività lavorativa in proprio sono ancora diffusi fra coloro che operano nel mondo dell'economia e, anche se vasti cambiamenti sono avvenuti nella mentalità e nelle abitudini delle famiglie, l'aspettativa che le donne si assumano la responsabilità maggiore nell'organizzazione domestica e nell'educazione dei figli è ancora prevalente: percezioni e aspettative sociali legate al ruolo di genere condizionano in pratica le possibilità di crescita delle aziende femminili.Le aziende "in rosa" restano perciò prevalentemente di piccole dimensioni e attive per lo più in pochissimi settori tradizionalmente femminili, e ciò nonostante le donne costituiscano il principale serbatoio di competenze e di lavoro in tutte le aziende a conduzione familiare.
Le donne, d'altro canto, non sono certo meno qualificate degli uomini per condurre un'impresa a elevata crescita e a elevata tecnologia, come dimostrano sia i dati sull'aumento dell'occupazione femminile nel mondo occidentale, sia le statistiche sull'istruzione, che vedono le ragazze frequentare con successo corsi un tempo giudicati "maschili" (come quelli scientifici), nonché la crescita nelle aziende del numero delle donne in posizione di comando e ad alto contenuto professionale: a ostacolare le donne avviate lungo gli stretti sentieri di certe carriere sono piuttosto gli effetti di una secolare emarginazione occupazionale. In Europa, per esempio, ancora quindici anni fa la maggior parte dei posti di lavoro nel comparto della salute, dell'insegnamento, dei servizi domestici e del commercio erano occupati da donne. La percezione comune delle donne come addette a lavori d'ufficio e di servizio ha finito così per rendere invisibile il lavoro imprenditoriale di fatto svolto in ruoli non formali da molte di loro nelle piccole e medie aziende a controllo e proprietà familiare.
Per quanto riguarda l'Italia già i numeri fanno di per sé riflettere.Le donne sono il 51,44% della popolazione, il 45,8% in età attiva ha un'occupazione, il 26,1% è imprenditrice. Ma tra gli uomini, che costituiscono il 48,56% della popolazione, ben il 69,9% è occupato e il 36% è imprenditore.Le imprese femminili sono concentrate nei settori di tradizionale impiego del lavoro femminile, come il commercio e il turismo, oltre che nei servizi. E' elevata anche la presenza femminile in agricoltura, mentre nel settore manifatturiero è in netta minoranza.
L'imprenditoria femminile si presenta come un fenomeno variegato e complesso sia per la distribuzione geografica sul territorio, sia per le diverse motivazioni che sono all'origine della scelta imprenditoriale, sia per il capitale individuale e sociale di conoscenze e competenze espresso dalle imprenditrici, sia infine per le caratteristiche delle aziende per dimensioni, settori di attività, rapporto con le economie locali.Le imprese femminili in genere sono piccole: un dato, questo, che accomuna le aziende femminili in tutto il mondo occidentale; la novità è costituita però dalla crescita delle società di capitali, che indica una maggiore stabilità e tendenza delle imprese femminili verso le medie dimensioni.Un'altra interessante novità è data dalla significativa e crescente presenza di imprenditrici di origine straniera, soprattutto nelle attività manifatturiere e nel commercio, le quali stanno rivelando un particolare dinamismo e capacità d'iniziativa nei servizi non tradizionali e alle imprese. Al primo posto sono le cinesi, seguite dalle svizzere (eredi di una secolare emigrazione imprenditoriale verso il nostro paese) e terze le marocchine.Le imprese delle donne sono per lo più recenti, nate soprattutto negli ultimi quindici anni, mentre l'età delle imprenditrici non è verdissima: oltre la metà delle imprenditrici ha fra i 30 e i 49 anni, ma è numeroso anche il gruppo delle over 50.Passiamo dal mondo dell'imprenditoria femminile a quello del management: le donne che si trovano in posizioni direzionali costituiscono il 33% della dirigenza aziendale italiana. Il dato percentuale, abbastanza in linea con quanto avviene nelle realtà più avanzate del mondo, risulta assai inferiore se prendiamo in considerazione i maggiori nuclei di potere economico: ai vertici delle società quotate in borsa e, dunque, più strutturate sul mercato, le donne infatti sono pochissime e ancora meno sono quelle presenti nei Consigli di Amministrazione delle banche. Soltanto nelle società di capitali appena avviate o con meno di tre anni di vita (e dunque quelle più a rischio) la presenza femminile sale.Scarsa ma vitale la presenza delle donne nella dirigenza in un segmento dimensionale strategico nell'attività economica del nostro Paese come quello delle medie aziende industriali, mentre nelle aziende di piccole dimensioni la dirigenza è costituita quasi esclusivamente da uomini.Le manager, inoltre, guadagnano mediamente molto meno dei colleghi uomini.Nell'ultimo decennio, però, si registra un cambio di rotta significativo: le donne dirigenti sono aumentate del 65% e, a partire dal 2004, le nomine di amministratori delegati donne hanno subito un'accelerazione del 33%, collocando le manager ai posti di comando anche di aziende tecnologicamente avanzate.Che cosa accade?
Le maggiori aziende stanno semplicemente adeguando le proprie strutture ai rapidi mutamenti di scenario dell'economia mondiale: le complesse e molteplici istanze culturali che caratterizzano la società globalizzata richiedono soluzioni organizzative che coinvolgano e valorizzino le "risorse umane". Così, le caratteristiche di solito attribuite alla leadership femminile in azienda (attenzione ai rapporti interpersonali, flessibilità, capacità di mediazione) diventano strategiche e costituiscono un valore aggiunto nel bilancio sociale dell'impresa. Ma il processo è ancora lungo.A fronte di nuovi positivi segnali, infatti, nel nostro Paese gli ostacoli al lavoro e all'imprenditoria femminile sono resi più incisivi da una cultura ancora poco favorevole all'impresa intesa come novità, cambiamento, competizione, rischio, responsabilità, fiducia. Per valorizzare il ruolo dell'imprenditoria e del management femminile - che consiste nella capacità di promuovere uno sviluppo fondato sulla valorizzazione della creatività e del capitale umano, nell'impegno per l'accrescimento delle risorse culturali, nell'attenzione per lo sviluppo qualitativo dell'impresa sia nella scelta dei prodotti sia per la tutela dell'ambiente è importante accrescere innanzitutto la consapevolezza e le aspettative delle donne nei confronti del futuro delle imprese.E ciò sia creando network e servizi per finanziare i progetti di sviluppo anche con fondi d'investimento ad hoc; sia puntando ad accrescere la risorsa imprenditoriale, secondo le indicazioni della Unione Europea, anche nei soggetti che operano intorno al mondo aziendale; sia avviando progetti che rilancino la cultura d'impresa e la fiducia; sia adottando politiche per un diverso welfare. 
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