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Il valore della politica: un articolo di Paolo D'Anselmi

04/08/2004

Il valore della politica: meglio del Kosovo

Passata è la tempesta delle elezioni europee. La tentazione è di lasciar perdere e tornare alla filanda del bilancio sociale, da cui siamo partiti diversi mesi fa. Ma il cerchio va chiuso, c'è un debriefing da fare:

i numeri di B sui manifesti hanno funzionato?
Come te la vedi con la disaffezione per la politica che trapela da quello che dici?
Siamo in ballo e balliamo: i numeri non hanno funzionato. E' scientifico: i numeri non sono stati sufficienti a guadagnargli la vittoria. Il libro promesso non è arrivato. Lo spiazzare sempre e tutti è diventato fine a se stesso e non ha prodotto voti nelle scorse elezioni. La sua egemonia nella comunicazione tracima nel manierismo: si fa fatica a capirlo. Perché non prova con un po' di sostanza? Nel caso, i numeri e un bilanio sociale pubblico degno del nome restano una base tecnica che permette di guardare la propria faccia allo specchio.C'è un altro (inatteso) risultato in tutto ciò. Michele Serra dice: "Si era diffusa una strana idea, negli anni dell'antipolitica, secondo la quale bastava accendere il riflettore giusto e sarebbero piovuti gli applausi. Il vero ‘contratto con gli italiani' si fa per la strada, sudando e scarpinando. La lezione più preziosa e incoraggiante di questo voto è  che la politica fatta porta a porta è piu' redditizia di quella fatta a ‘Porta a Porta'." Parole sante. Mi permetto di aggiungere che quella ‘strana idea' era soprattutto di sinistra: aveva vinto le elezioni "solo perché c'ha i soldi e le televisioni". Ora che ha di tutto di più, ha perso. Forse che quando aveva vinto, aveva vinto per qualche altra ragione che magari la opposizione potrebbe tentare di spiegarci? E' una sua vittoria nella sconfitta.Fin qui i numeri. Veniamo ora al nostro vissuto della politica. In campagna elettorale abbiamo visto cose poco degne tra cui una effigie di avvocato in mutande e una di giornalista con fogli in mano, per i duri di comprendonio. Viene da chiamarsi fuori dal gioco, ma ci sono delle ragioni per sopportare il vuoto esercizio elettorale. La politica, cioè l'insieme dei personaggi politici e dei riti che li coinvolgono, va apprezzata perché tiene certa gente lontano dai boschi. È utile avere un sistema elettorale non violento, un parlamento di persone ben pagate. È utile perché serve a tenere certe birbe – ciascuno ha i suoi - lontano dai bronx dove dimorerebbero in bande armate e – magari – dalle televisioni dove venderebbero junk bond. Si tratta infatti di persone – i politici, dico - dotate di grande energia e di carisma; hanno una missione – perlomeno in gioventù - e si spendono per essa. Non è frequente, basta confrontare con noi stessi. Qualora non ci fosse questo marchingegno chiamato politica, un sistema per dare loro uno status sociale, il rango di ministro ai meglio, queste persone esprimerebbero il proprio potenziale in modi più costosi per la collettività.Un altro punto di vista ci fa pensare che la politica è comunque migliore di una riunione di condominio. Vale a dire, quando noi stessi facciamo in prima persona l'esperienza di rapporti hobbesiani, non siamo migliori dei nostri politici. Ciascuno ha la prova di questo dal pessimo stato di manutenzione delle scale di casa sua.La politica è un bicchiere che va visto dal fondo. In termini matematici ed economici questa operazione equivale a calcolarne il ‘valore ombra', cioè il costo da pagare se non ci fosse: staremmo in kosovo.Paolo D'Anselmi
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