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Informazione e pubblicità, una relazione troppo stretta

26/01/2012

La linea editoriale dei giornali è influenzata dalla pubblicità. È il dato che emerge da una ricerca condotta dall’Ordine dei Giornalisti in collaborazione con il LaRiCa dell’Università di Urbino, che verrà presentata a Milano il 27 gennaio. _Pino Rea,_ coordinatore del gruppo di lavoro, ne commenta i risultati in questa intervista.

di Natascha Fioretti
È quanto emerge dalla ricerca compiuta dal Gruppo di lavoro su Qualità dell’ informazione e pubblicità del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti Italiani insieme al LaRiCA dell’Università di Urbino Carlo Bo, dall’équipe di ricerca costituita da Giovanni Boccia Artieri, Luca Rossi e Stefania Antonioni.
Come spiega Pino Rea, coordinatore del gruppo di Lavoro del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti Qualità dell’informazione e pubblicità nonchè Consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti e coordinatore di Lsdi, nell’intervista che segue, lo studio analizza il complesso rapporto tra informazione e pubblicità alla luce delle trasformazioni e delle evoluzioni che lo hanno caratterizzato negli ultimi decenni. Mettendo in luce la necessità di un adeguato programma formativo per le giovani generazioni di giornalisti insieme ad una campagna di rilancio dei principi etici.
Quello che in particolare emerge dalla ricerca è che nella teoria funziona tutto benissimo: i giornalisti italiani conoscono perfettamente le linee teoriche di comportamento etico che regolano il rapporto tra giornalismo e pubblicità. Il 73% infatti afferma che sia importante evitare di fornire informazioni, consigli o giudizi in favore degli inserzionisti, il 63% di fornirli all’editore e il 66% ad un gruppo politico o sociale.
Ma nella realtà concreta solo il 50% si sente di affermare che di fatto la pubblicità non influisca sulla linea editoriale dei giornali.
Dati interessanti che non sorprendono più di tanto un settore, quello della stampa, che per anni ha vissuto della pubblicità e che dunque ha sempre fatto fatica a mantenere distinte la parte redazionale da quella commerciale. Ma che in futuro potrebbero cambiare viste le evoluzioni in corso e dunque il calo della pubblicità sulle testate cartacee e sua migrazione sul web.
Nel frattempo però per capire più da vicino modalità e tecniche della ricerca che verrà presentata al Circolo della Stampa il prossimo 27 gennaio, abbiamo fatto qualche domanda a Pino Rea.
Come è composto il campione di giornalisti e testate che sono state analizzate?
Si tratta di una una indagine esplorativa condotta durante l’estate 2011. I dati sono stati raccolti attraverso un questionario online “autosomministrato” su un campione di 101 giornalisti italiani. Le testate sono state selezionate per rappresentare il più ampio panorama possibile delle redazioni italiane, che sono state contattate via email a luglio e poi, nuovamente, a settembre 2011.
Il questionario era composto da 32 domande a risposta multipla – che il gruppo di ricerca del LaRiCA (composto da Giovanni Boccia Artieri e da due giovani ricercatori, Luca Rossi e Stefania Antonioni) ha analizzato con il software PSPP – e 2 domande a risposta aperta che sono state analizzate qualitativamente. Le testate sono state scelte fra le seguenti tipologie: quotidiani nazionali, regionali, locali (divisi per macroaree geografiche: nord, centro, sud e isole), free press, settimanali, mensili. Mentre per le testate online “native” il questionario è stato inviato in maniera non mirata a tutte le redazioni.
È interessante che per quanto riguarda la commistione tra pubblicità e lavoro redazionale il sondaggio rilevi una maggiore doppiezza tra livello teorico e realtà proprio nelle testate online. Condividi questo risultato? A che cosa credi sia dovuto, forse al fatto che nelle testate online c’è un maggior numero di giornalisti giovani e con meno esperienza?
Non è un dato che meraviglia. Nelle redazioni tradizionali, cartacee, il rapporto di trasmissione dei valori professionali e deontologici (oltre che delle pratiche) fra generazioni si è ridotto al minimo. Nelle redazioni online praticamente si è azzerato. L’ impressione è che la debolezza strutturale ed economica del settore determini anche una sotto-valutazione del lavoro giornalistico e che fra le linee guida manchi completamente la dimensione del dover essere. In questo senso la Ricerca indica in maniera netta la necessità di un grosso lavoro di formazione delle giovani generazioni di giornalisti (che ormai i capi delle redazioni non riescono più a svolgere).
Come pubblicità, per i siti online, si è presa in analisi anche quella di Facebook, Google, Liquida e altri o solo quella tradizionale?
Il questionario riguardava la pubblicità in generale presupponendo che l’ informazione giornalistica sia in antitesi con il messaggio “pubblicitario”, nel senso più ampio del termine.
Alla luce dei cambiamenti radicali che hanno e stanno caratterizzando il mondo pubblicitario e dell’informazione, il codice deontologico che regola il rapporto pubblicità-lavoro redazionale non deve essere rivisto e aggiornato?
I risultati del sondaggio lo confermano con nettezza: il 54% del campione interpellato, infatti, ritiene che le norme deontologiche che regolano ora il rapporto informazione/pubblicità debbano essere riviste.
Cosa farete ora con i dati di questa ricerca?
Venerdì 27 gennaio a Milano, al Circolo della Stampa, presenteremo pubblicamente la Ricerca e una delle relazioni (affidata a Michele Urbano, consigliere nazionale dell’ Ordine e coautore dello studio) ha per titolo proprio: Rivedere le norme etiche?. Poniamo questo problema a tutto il Consiglio nazionale dell’ Ordine, che sarà chiamato ad affrontare la questione in una delle sue prossime riunioni.
Nel frattempo imposteremo anche la seconda fase della ricerca, quella dedicata all’ emittenza radiotelevisiva, che ha delle sue specificità e andava analizzata separatamente.
Tratto da European Journalism Observatory
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