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Istituzioni e comunicazione: il caso del Conservatorio di Padova

#Ferpi2Be

04/04/2019

Federico Rampin

Un post poco diplomatico con cui il Conservatorio di Padova prendeva le distanze da una fiction televisiva ha generato, lo scorso gennaio, una crisi di comunicazione per l'istituzione musicale patavina. Quali sono i rischi nell'affidare la comunicazione a chi non è del mestiere? Ne parla Federico Rampin nella rubrica #Ferpi2Be.

"Una sola preghiera: non vi iscrivete a scienze della comunicazione, non fate questo tragico errore che paghereste per il resto della vita!". Questo era il monito che Bruno Vespa in diretta su Rai1 rivolgeva a un gruppo di liceali presenti nello studio di Porta a Porta nel lontano 2009. Nel 2019 la Rai cerca figure professionali tra cui  proprio laureati in comunicazione. Non solo un futuro che di certo Vespa non si aspettava, ma anche un presente nel quale il conduttore sta già vivendo: in casa RAI alcuni laureati in comunicazione sono riusciti a insediarsi addirittura tra ruoli di direzione (Giovanni Parapini direttore Comunicazione, Relazioni Estere, Istituzionali e Internazionali o Roberto Sergio direttore Radio Rai).

Vespa aveva avuto il coraggio di esprimere una posizione che oggi trova ancora molti consensi: laurearsi in comunicazione non serve a nulla. Forse dopo 10 anni - duranti i quali ha preso piede la cosiddetta "rivoluzione digitale" - avrá avuto modo di ricredersi.

Sarebbe interessante sapere cosa ne pensa anche Leopoldo Armellini, attuale Direttore del Conservatorio Cesare Pollini di Padova. Sembra spetti al maestro padovano, infatti, il ruolo di social media manager della pagina Facebook del prestigioso Istituto musicale; comprensibile, data la nota scarsità di finanziamenti a questi preziosi enti. Comprensibile e rischioso.

Tra foto di giovani musicisti e auguri di buon anno, il giorno 8 gennaio 2019 compare un post con il quale «Il Conservatorio di Padova prende opportunamente le distanze dal film "La compagnia del Cigno" trasmessa dalla RAI a partire dal 7 gennaio 2019. Si tratta di una mediocre parodia, di una caricatura di ciò che è la reale vita degli studenti e dei docenti nei Conservatori di Musica ». Ovviamente scoppia il caos.

Nei commenti centinaia di persone intervengono per dirsi sorpresi di una posizione cosí radicale nei confronti di una fiction che comunque veicola messaggi positivi e in tanti si stupiscono dei toni usati nel comunicato. Ma il bello deve ancora venire.

La pagina del Conservatorio si scatena contro chi difende la serie colpevole di "distorcere la realtá e diffamare i conservatori": gli utenti che si trovano in disaccordo con il post vengono apostrofati come "leoni da tastiera", "conformisti", "buonisti", "moralisti". Nella confusione generale, il direttore (qualcuno gli fa notare che il tutto viene scritto a nome dell'istituzione, quindi le risposte della pagina cominciano ad essere firmate "Leopoldo Armellini") tira in ballo i gilet gialli ("la vera violenza non è quella dei gilet gialli, ma quella degli indifferenti"), politici ("secondo lei perché un noto politico che possiede molte televisioni sarebbe in conflitto di interessi"), fino a quelle che lui definisce "categorie protette": omosessuali e neri ("se fosse stato offeso un omosessuale o se il direttore [personaggio della fiction, ndr] avesse detto a uno studente di colore "vai al tuo posto sennò ti rispedisco tra i tuoi amici cannibali" la cosa cambierebbe o sarebbe sempre uguale?").

Nei giorni seguenti arrivano altri post, altri commenti, articoli di giornale e perfino una presa di distanza dei rappresentanti degli studenti del conservatorio Pollini rispetto alle dichiarazioni del Direttore. Tutto ciò causato, paradossalmente, da azioni intraprese con il nobile obiettivo di difendere l'immagine dei Conservatori italiani e di scongiurare il pericolo che qualche giovane rinunci agli studi musicali dopo aver visto la serie tv di Rai1.

Evitando di discutere se effettivamente la fiction abbia un qualche effetto sulla reputazione dei Conservatori e dei suoi insegnanti, è interessante notare come lasciare la comunicazione in mano a inesperti possa fare scoppiare crisi mediatiche e che delle "buone intenzioni" non bastino. C'è bisogno di accettare il fatto che nel momento in cui enti e istituzioni si dotano di social e siti istituzionali, la loro immagine e la loro reputazione si concretizzano: il Conservatorio attraverso la sua pagina Facebook comincia a parlare e ciò che dice viene detto in nome della collettività del Conservatorio, a nome dell'ente, non a nome del direttore.

Quando le istituzioni diventano "reali" nelle piattaforme di comunicazione, la loro immagine è tangibile e quindi facilmente sottoponibile a cambiamenti rapidi e difficili da controllare. Enti quali il Conservatorio o le Università godono di una reputazione che prescinde dall’apporto dei singoli direttori, una reputazione che in molti casi è un risultato ottenuto nell'arco di secoli.  I pareri di chi è chiamato (pur con professionalità) a dirigere questi enti devono essere delicatamente calibrati e, più spesso, devono essere evitati, pena: l'identificazione tra istituzione e dirigente, nel bene ma soprattutto nel male.

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