Giovanni Landolfi
Il bombardamento Usa sull’Iran è arrivato sei giorni dopo il primo articolo sulla bomba antibunker GBU-57A/B: un caso o un caso di scuola per la comunicazione? Un invito alla riflessione e alla ricerca della trasparenza per i professionisti delle Relazioni pubbliche.
Mi sono messo a scrivere questo articolo mercoledì 18 giugno, il giorno in cui i giornali aprivano con la minaccia di Trump di intervenire al fianco di Israele nella guerra in Iran e, dopo poche pagine o pochi scroll, spiegavano “cos’è la bunker buster degli Usa”. Di prima mattina avevo notato un titolo di quel genere su Repubblica, il Sole24Ore e Fanpage (dove cercavo tutt’altro) e quando sono arrivato a quello del Corriere non potevo non leggerlo. Sia per la curiosità suscitata da quella ricorrenza sia perché occupava l’intera pagina del giornale, con un’ampia infografica e un titolo evocativo: “Lo Spirit e la super bomba” (Spirit? Spirito? Spirit cavallo selvaggio?). Mentre leggevo di questo bombardiere senza eguali (B-2, detto Spirit) necessario a trasportare l’altrettanto senza eguali megabomba da 14 tonnellate GBU-57A/B Massive Ordnance Penetrator (MOP), mi chiedevo se un simile allineamento informativo – tanto difficile da ottenere quando fai ufficio stampa, perché tutti vogliono l’esclusiva – non avesse uno scopo filo-interventista nell’opinione pubblica italiana. Una settimana dopo è perfino banale rispondersi che la narrazione sulla super bomba non era casuale.
La bomba del giorno prima sui giornali Usa
Cercando “buster bunker” su Google, si vede subito che la storia della MOP, progettata per colpire installazioni sotterranee, era partita dai giornali americani e i quotidiani nostrani l’hanno rilanciata pari pari: in un arco di 24 ore, a un primo lancio di AP News sono seguiti Washington Post, New York Post e Times. E poi moltissimi altri a seguire. Non ho trovato un lancio ufficiale della storia – un briefing del Pentagono, un’esternazione del Ministro della Difesa Usa, un post su Truth, un comunicato stampa dell’azienda costruttrice, la Boing – eppure modi e contenuti coincidono: escono tutti in un arco di tempo ristretto, tra il 16 e il 17 giugno, citano la stessa potenziale installazione target (Fordow), lo stesso collo di bottiglia (il bombardiere Spirit, l’unico che può sganciare la superbomba), i movimenti recenti del vettore (avanti e indietro dalla base Diego Garcia, nell’Oceano Indiano) e lo stesso dilemma: Israele non può smantellare le basi iraniane per l’arricchimento dell’uranio senza la bomba Usa. Non compare un regista, però la sceneggiatura è quella. Forse il regista non va cercato negli Usa? Sempre sul Corriere del 18 giugno, Davide Frattini scrive da Tel Aviv: “Netanyahu sta premendo su Donald Trump perché gli Stati Uniti entrino nel conflitto. È consapevole che senza i bombardieri americani la missione non può considerarsi ‘compiuta’. L’aviazione israeliana non è in grado di smantellare o danneggiare in profondità il centro nucleare di Fordow, incassato dentro una montagna”. Domanda esatta.
Il dettaglio mancante: c’è un precedente
Un particolare curioso di questa storia è che manca un pezzo. Da tutti gli articoli, sia quelli usciti in America sia quelli italiani che ho consultato, emerge la sensazione che si stia parlando dell’arma definitiva tenuta nel cassetto per eventi eccezionali, della strada per la vittoria, dell’Armageddon (come in effetti la cosa è stata presentata a cose fatte, il 22 giugno). E invece la bomba era già scoppiata: la GBU-57A/B sarebbe stata usata in combattimento, per la prima volta, il 17 ottobre 2024 durante un attacco americano contro siti sotterranei degli Houthi in Yemen. Me lo ha detto ChatGpt. Mentre chiedevo approfondimenti sulla bomba e su chi ne ha scritto, è uscita una frase su un precedente utilizzo: ho chiesto spiegazioni e ChatGpt mi ha detto che no, la buster bunker non era mai stata usata in combattimento. Allora ho usato il famoso prompt “Guarda che me lo hai detto tu” e lui ha ammesso e poi mi ha anche tirato fuori gli articoli sugli Houti: uno di AP News e un più specifico di The Maritime Executive, entrambi usciti il 17 ottobre 2024, seguiti in Italia da Panorama e il Giornale, che il 24 ottobre 2024 descrive l’operazione come un “implicito avvertimento indirizzato a Corea del Nord e Iran”. È strano che nessun giornalista ne abbia scritto nel fiume di articoli usciti dal 16-17 giugno in poi ed è un po’ quello che succede quando mandiamo un comunicato stampa sufficientemente esaustivo: mediamente le uscite si attengono al comunicato. Anche se c’è sempre il giornalista che vuole qualcosa di più. Non in questo caso.
La guerra mediatica dei 6 giorni
Quando ci siamo svegliati, domenica 22 giugno, la narrazione della superbomba era diventata cronaca. Erano trascorsi sei giorni tra il primo articolo e la notizia del bombardamento. Sono giorni in cui si è parlato anche di molto altro, però quel fil rouge narrativo rimane, per chi vuole vederlo. E noi, in quanto professionisti della comunicazione, dovremmo farlo, visto che siamo parte del sistema dei media e che abbiamo quindi una piccola quota di responsabilità rispetto alla trasparenza del sistema stesso. Naturalmente possiamo non occuparcene e, così facendo, assecondiamo chi promuove queste narrative e chi le condivide (a questo riguardo invito a guardare la prima pagina del Giornale del 23 giugno, che titola “La lezione di Trump”). Oppure possiamo parlarne e cercare di darci un ruolo e una voce, a favore della trasparenza della comunicazione e dell’informazione.
Il primo articolo di AP News
Nota finale. Il link del primo articolo di AP News sulla superbomba è questo, ma oggi non è più lo stesso articolo: il 16 giugno si intitolava “What to know about bunker-buster bombs and Iran’s Fordo nuclear facility”, oggi c’è scritto “Updated 3:20 PM CEST, June 22, 2025” e si intitola “What to know about bunker-buster bombs unleashed on Iran’s Fordo nuclear facility”: da premonizione è diventato storia.
Disclaimer: mi sono fatto aiutare da chatgpt per ricostruire l’origine degli articoli sulla buster bomb, mapparli, mettere insieme una timeline e discutere degli scenari di cui parlo nell’articolo.