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La sfida della pubblicità: comunicare il benessere nel mondo della post-crescita

15/03/2010

In tempi di crisi la pubblicità deve rapidamente ripensare al proprio ruolo, "per approdare dal benavere al benessere". E' quanto sostiene Giampaolo Fabris, che individua nel _wow factor_, la capacità di sorprendere, la strada per uscire da uno stile ormai datato. Ma se questo già avviene con successo sui nuovi media, la televisione arranca ancora.

di Giampaolo Fabris
In attesa che il mondo della pubblicità affronti il tema del suo ruolo nella società della post-crescita – una mission apparentemente impossibile data la sua vocazione al “todos Caballeros”, a promuovere cioè ogni tipo di bene o servizio indipendentemente dai suoi contenuti – qualche considerazione sul suo stato dell’arte può risultare utile. Comunque, se un cambiamento di mission può apparire impossibile, è certo che il contributo della pubblicità – che si ponga finalmente in gioco, in grado di rivisitare alla luce dei nuovi scenari le sue finalità istituzionali e suoi obiettivi è davvero strategico. Per approdare, in tempi non biblici, alla transizione dal benavere al benessere dei cittadini consumatori. Non è certo un gioco di parole questo. Già in anni lontani Galbraith sottolineava il pesante handicap di tutti i beni pubblici ma le stesse considerazioni valgono anche per valorizzare quelli a contenuto relazionale, beni con maggiori valenze o utilità sociale di non poter fruire del colore e del calore della pubblicità.
Forse però nell’attesa di una svolta epocale qualcosa di più da parte della pubblicità ci si potrebbe attendere. La presa di distanza da alcuni dei totem del passato come lo spot da trenta secondi e la fatale attrazione verso le tv generaliste è certamente un fatto positivo. Anche se quando vi si ritorna è comunque buona norma essere cauti anche negli abbandoni – il ricorso prevalente è agli stilemi più falsi, rosei, maniacalmente euforizzanti, beceri del passato. Il cinepanettone preso a prestito dagli spot di Tim è esemplare a proposito. Desta davvero stupore che si ignori che l’avversione a questa tipologia di linguaggi, anche presso una parte sostantiva dello stesso pubblico televisivo, è ormai drastica e genera un vero discredito sugli inserzionisti. Così come si sono abbattute le soglie di accettazione nella ripetitività degli annunci. Laddove invece la pubblicità sta veramente dando il meglio di se stessa è nella frammentazione delle nuove tecnologie, internet e dintorni, e nei media non convenzionali. I nomi utilizzati per definirne le varie forme sono diversi (advergame, skating, streaking, stickering, flashmob, ecc.) ma il comun denominatore non è dissimile. È in questo contesto che la pubblicità sembra ritrovare quella atmosfera di freschezza, creatività, ironia, divertimento, garbata trasgressione che l’ha contraddistinta nei suoi momenti migliori. Come se l’uscita dagli spazi tradizionali avesse finalmente liberato la creatività da qualche lacciolo di troppo.
Il wow factor sembra divenire il fattore determinante per questo tipo di approccio: la sorpresa, lo spiazzamento, la capacità di creare situazioni memorabili (la distinzione fra evento e pubblicità va ormai rarefacendosi). I limiti purtroppo sono molti ed evidenti. È difficile perseguire queste strade in continuità e coerenza con una strategia di comunicazione la cui corretta definizione continua a rappresentare invece un must per la pubblicità. Singoli importanti successi – vi sono ormai molte evidenze da parte di imprese che operano in settori assai diversi – se non ricollegabili a un comune fil rouge rischiano di vanificarsi. Credo sia proprio questo il lavoro che la pubblicità deve compiere nell’immediato: canalizzare in contesti compiuti di senso il grande potenziale che emerge dai nuovi spazi. Integrandolo organicamente in una reale rivisitazione delle opportunità dei media di cui ha sempre disposto.
Tratto da La Repubblica – Affari & Finanza
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