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Le doti del comunicatore, gli scenari della PA, la proattività: intervista al nostro socio Mario Rod
15/06/2004
Di Laura Latini.
Intervista a Mario Rodriguezdi Laura Latini
"Fare bene e farlo sapere" è uno degli slogan di FERPI. Lei aggiunge spesso che saper ascoltare è saper comunicare. Ritiene che questa debba essere una dote innata per un buon comunicatore?A mio parere, il buon comunicatore deve agire come se nulla fosse innato. Per saper comunicare efficacemente bisogna essere disposti ad imparare. Solo così si può poi pensare di insegnare. Altrimenti possiamo anche andare tutti a casa
Per quanto riguarda la fase dell'ascolto, mi piace sottolineare che più che una scelta etica determinata dall'amore per il prossimo o dalla fiducia nell'altro essa costituisca un vero e proprio fatto "tecnico". Attraverso l'ascolto, infatti, sono in grado di comprendere come il mio interlocutore si raffigura la realtà, di capire quali astrazioni utilizza per descrivere ciò che vive, e quindi di mettermi in sintonia con la sua percezione del reale. Più banalmente: se non mi predispongo ad ascoltare, difficilmente sarò a mia volta ascoltato. Naturalmente questo semplice principio non vale solo a livello individuale, bensì trova valida applicazione anche nell'ambito più esteso delle organizzazioni complesse. Tanto è vero che le organizzazioni capaci di attuare una comunicazione efficace, la realizzano anche a fronte di una preliminare e programmata fase di ascolto. Comunicare significa mettere in comune, condividere. In tal senso, esiste una differenza sostanziale tra comunicazione e propaganda. Se faccio propaganda non mi interessa mettere in comune nulla. Ho la verità, devo solo trovare il modo di farlo capire. Ma se il mio obiettivo è quello di indurre comportamenti, modificare quindi modi di vedere le cose, devo saper scambiare valori e modi di sentire. Pertanto, se voglio comunicare, devo superare la dimensione propagandistica. Ben inteso dopo aver ascoltato bisogna saper rispondere. Anche la risposta è cruciale nel processo di comunicazione.In seno alle organizzazioni nascono nuovi processi sempre più concentrati a coinvolgere nelle decisioni gli stakeholder. Questo trend sembra raggiungere anche la Pubblica Amministrazione italiana. Ci racconta il suo punto di vista sulla progettazione concertata con i cittadini alla luce di quello che ha percepito al Forum P.A. di quest'anno?Mi pare che la consapevolezza dell'importanza della comunicazione stia faticosamente crescendo sebbene si tenda ancora a relegare le potenzialità di questa disciplina alle sole due dimensioni della partecipazione e della trasparenza. Non emerge ancora, con la forza per me opportuna, il valore della comunicazione intesa come leva strategica per raggiungere gli obiettivi di quelle organizzazioni particolari che sono le Pubbliche Amministrazioni. Manca ancora un'adeguata coscienza nei confronti del valore che la comunicazione può assumere in termini di strumento utile a governare bene! Persiste, inoltre, la malsana concezione secondo cui la comunicazione rappresenta uno strumento finalizzato essenzialmente alla costruzione di immagini (cosa che, per esempio, affascina i politici ossessionati dalla visibilità), piuttosto che un mezzo efficace a veicolare anche valori utili.Entra in gioco il cittadino come protagonista proattivo. Crede che gli scenari siano maturi all'interno della Pubblica Amministrazione? Sarò schematico. La proattività è necessaria alla governance, non è solo una scelta etica. Lo sviluppo della complessità sociale e la complicazione dei processi decisionali impongono un coinvolgimento anticipato attraverso la comunicazione e l'ascolto dei cittadini, specialmente quando le decisioni impongono modificazioni nei comportamenti individuali. Se no le risposte non sono efficaci. Le decisioni non diventano comportamenti, fatti, realtà. In questo senso i professionisti delle RP riusciranno ad essere degli interlocutori efficaci?Speriamo di sì, altrimenti lo farà qualche altra categoria di consulenti!Non trova che la radice di molta cattiva comunicazione sia l'autoreferenzialità? In alcuni casi la denuncia delle proprie criticità non sarebbe più vincente, aprendo la strada a processi decisionali inclusivi?Per me i comunicatori di oggi sono come gli antichi alchimisti prima dell'affermazione della scienza medica. E i Corsi di Laurea in Scienze della Comunicazione ne sono la dimostrazione. Non c'è ancora una sufficiente convergenza sulla delimitazione degli ambiti e dei confini. E quindi c'è sovrapposizione tra competenze e saperi. Siamo ancora in una fase magmatica
in fondo solo da pochi decenni abbiamo cominciato a mettere a fuoco l'importanza della comunicazione nelle relazioni umane e sociali.