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Le promesse di Nike

13/06/2007

A trentaquattro anni dalla propria nascita la multinazionale statunitense annuncia di voler rivedere la propria politica gestionale in nome della Corporate Social Responsibility.

I guru di Nike hanno compreso che la responsabilità sociale li rappresenta più di ogni altra cosa: un'analisi delle poltiche dell'azienda americana, icona del capitalismo e della globalizzazione, focalizza un cambiamento da parte del brand con il baffo che non è solo apparenza, raccontando al tempo stesso come Nike continui a essere tra i bersagli preferiti del popolo di Seattle. Come riportato dal magazine Oregonlive.com, fornire una risposta morale ed etica ai propri lavoratori non è più uno strumento di gestione dei rischi o un modo per dare limpidezza alla propria immagine, ma un vero e proprio obbiettivo commerciale.
Nike è un marchio rappresentativo della globalizzazione e nella sua ultra trentennale esistenza è stata fatta oggetto di tutti i tipi di critiche e accuse che accomunano tutte le più grandi multinazionali del pianeta. Anche in questo caso non manca chi contesta e irride questa svolta di responsabilità. L'attivista americano Jeff Ballinger sostiene che quanto dichiarato dai vertici dell'azienda altro non è che "il sintonizzarsi su ciò che tutte le scuole di business stanno attualmente insegnando a proposito di reputazione gestionale".
Dopo le lunghe ed estenuanti battaglie a proposito delle condizioni di lavoro degli oltre 800 mila operai alle proprie dipendenze (principalmente ragazze asiatiche al di sotto dei ventiquattro anni), Nike contrattacca ammettendo che il monitoraggio effettuato sulle industrie alle quali viene appaltato il lavoro non ha funzionato e che in molte di queste esiste ancora il problema dell'eccessivo sfruttamento dei lavoratori.
A questo proposito le critiche più frequenti sono quella di una cattiva retribuzione degli operai e l'interesse economico del marchio sportivo nel mettere in competizione tra loro quattro o cinque industrie alle quali viene offerto lavoro in appalto in modo da scatenare una corsa al ribasso. La promessa dei vertici aziendali americani è quella di risolvere completamente la questione entro il 2011, senza però cadere nel tranello dei compensi equi e uniformi ma offrendo una retribuzione localmente rilevante e competitiva.
 Redazione Totem - Emanuela Di Pasqua
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