Daniela Bianchi - Segretaria Generale FERPI
Manuale di sopravvivenza in un’era disconnessa, con le istruzioni per ritrovare il filo del discorso
Pensare che c’è stato un tempo in cui la massima aspirazione per la Miss Italia di turno era la Pace nel mondo. Per dire che c’è stato un momento un cui parlare di Pace poteva far salire anche l’ordine di gradimento, tanto l’aspirazione era tangibile e si fondava su un progetto di cooperazione a livello internazionale (Nazioni Unite, trattati multilaterali, comunità europee). Poi l’attenzione si è spostata e l’opinione pubblica occidentale ha iniziato a dare per scontate sicurezza e libertà, riversando le energie su altre priorità – tecnologiche, economiche, personali – fino a quando si è pensato che questo concetto fosse una cosa da sempliciotti e la povera Miss si è riconvertita ad ambizioni più complesse e circonlocuzioni filosofiche, come attestati di intelligenza (qualsiasi riferimento vi stia venendo in mente è puramente casuale), mentre quell’afflato cosmico piano piano sbiadiva sullo sfondo.
Ma facendo uscire questo concetto dal nostro vocabolario abbiamo perso molto… Oltre a un posto in paradiso abbiamo perso l’abitudine a un orizzonte collettivo che si tiene su processi complessi, su una comprensione degli equilibri, su un dialogo continuo e sulla costruzione di sistemi di relazioni per cercare soluzioni, che poi da sempre è uno degli aspetti principali del nostro mestiere.
Così un giorno ci ritroviamo l’ambiziosa proposta di una riviera del Medio Oriente, che magari ha anche l’intenzione di ricordare i fasti di una riviera azzurra, che negli anni ‘50 si estendeva sulle coste del Libano e aveva in Beiruth la sua capitale, ma di fatto spazza via decenni di mediazioni internazionali e il paradigma principale della diplomazia internazionale, che è sempre stato quello del negoziato. Dagli Accordi di Camp David (1978) fino agli sforzi di Oslo, la strategia condivisa è sempre consistita nel mantenere viva la prospettiva di una pace negoziata, anche se i risultati sono stati perlopiù deludenti o incompiuti.
In altre parole non più un accordo basato sull’incontro di parti, ma la ratifica dell’imposizione unilaterale di una visione “risolutiva”, che oggi vale per questioni singole, ma può facilmente essere trasformato in un principio che via via sancisce il disimpegno e la fuoriuscita da varie istituzioni e accordi internazionali. Dimenticando che indebolire quegli accordi internazionali, ha effetti concreti non solo ideologici.
Un po’ quello che sta accadendo con le tensioni che riguardano l’OMS per esempio. Nel caso dell’uscita degli Stati Uniti parliamo del taglio del 15% dell'intero finanziamento – 1,3 miliardi di dollari nel biennio 2022-2023 e 958 milioni preventivati per il 2024-2025 su un budget Oms complessivo di 6,5-6,8 miliardi di dollari – oltre la disponibilità di uffici, banche dati e ricercatori. E tantissime risorse, articolate in una miriade di progetti, 180 i contratti di ricerca Oms sostenuti dagli Usa solo in Europa. Un numero impressionante di persone a cui viene sottratta la speranza di un’aspettativa di vita, nonché lo smantellamento di un sistema di monitoraggio sulla salute che in casi di epidemia per esempio serve anche a chi, normalmente, di quella speranza non si alimenta quotidianamente.
Come dire, che con la cessione di un desiderio collettivo quale quello della Pace, abbiamo anche ceduto la capacità di credere nel dovere di trovare soluzioni, abbracciando la resa delle nostre sinapsi, come strumento necessario per ricominciare a costruire anticorpi sufficienti contro la disgregazione sociale.
Ed è su questo fronte che in fondo il nostro mestiere ha ancora un senso: la forza delle parole e delle relazioni, meccanismi di trasparenza che proteggano il dibattito pubblico dalle distorsioni e finalizzati a regolamentare l’ecosistema digitale.
A questo proposito, ritorno brevemente sul Giubileo della Comunicazione a cui FERPI ha partecipato e di cui molto abbiamo già scritto e a una domanda lasciata cadere con molta semplicità: nel 2000 l’invito è stato ad aprire le porte alla Speranza, oggi, nel 2025, possiamo dire che quella Speranza siamo stati in grado di comunicarla?
E allora tre concetti che vale la pena di usare come direttrici di impegno professionale e anche associativo, perché quel villaggio globale che abbiamo contribuito a creare e alimentato in questi 25 anni non è di per sé garanzia di equilibrio ma richiede regole precise per non diventare luogo di conflitto.
Comunicazione e responsabilità – ogni comunicatore, relatore pubblico, giornalista deve sentirsi custode di un patrimonio di verità, che non va manipolato né piegato a interessi di parte; Centralità etica – senza un’etica professionale chiara, la comunicazione è solo veicolo di propaganda, vanificando qualunque prospettiva di dialogo e pace; e infine, Potere del pubblico – i cittadini, lettori, spettatori, utenti.
Per questo la comunicazione “non può” né “deve” essere considerata neutrale, ma va gestita con responsabilità, trasparenza e consapevolezza dell’impatto che può avere su opinioni, comportamenti e persino sulla tenuta della democrazia.
Che poi un po’ di nostalgia delle Miss rimane, quasi tenerezza per quei messaggi basici soppiantati dal modello spietato delle Infuencer che del tritaopinioni hanno fatto pane quotidiano…