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L’Europa deve comunicare di più e meglio

01/08/2013

La crisi economica ha fatto crollare la fiducia dei cittadini in un progetto unitario europeo. Insomma, l'Europa piace sempre meno agli europei. Ma la comunicazione può giocare un ruolo chiave nel recuperare lo spirito di integrazione perduto. Lo sostiene il Capo di Gabinetto del Ministro per gli Affari Europei, _Francesco Tufarelli._

di Andrea Ferrazzi
La crisi economica mette a dura prova la sopravvivenza stessa dell’Europa unita. Secondo il Premio Nobel Amartya Sen, l’euro è stato addirittura «un’idea orribile», perché «una moneta unica non è un buon modo per iniziare ad unire l’Europa». Anzi: «I punti deboli economici portano animosità invece che rafforzare i motivi per stare assieme. Hanno un effetto-rottura invece che di legame». I numeri lo confermano. Secondo una recente ricerca (Pew Research Global Attitudes Project), la percentuale di cittadini favorevoli all’Unione europea è passata dal 60 al 45 per cento. Un calo generalizzato che tocca punte significative in Francia (-19%), Italia (-14%) e Germania (-8%). Tre stati fondatori. E’ evidente che c’è qualcosa che non va: l’Europa piace sempre meno agli europei. E questo è un guaio, se si crede in un progetto politico “fuori dagli schemi” che ha permesso al vecchio continente di rinascere dalle ceneri della seconda guerra mondiale. Nel suo discorso alla prima riunione del consiglio dei ministri della CECA (8 settembre 1952), il cancelliere tedesco Konrad Adenauer disse che il primo passo «dal progetto alla realtà» era compiuto. E aggiunse: «Siamo fiduciosi che sarà l’inizio di una nuova era per il nostro continente, un’era di pace, di concordia e di rinnovato benessere». Aveva ragione. Ma in tanti, adesso, sembrano essersi dimenticati di quelle parole e, più in generale, dello spirito che accompagnò l’inizio del processo di integrazione europea, uno spirito che, osserva il Capo di Gabinetto del Ministro per gli Affari Europei, Francesco Tufarelli, andrebbe recuperato e comunicato ai cittadini.
Qualcuno ha detto che il progetto di integrazione europea è come una bicicletta: se si ferma, cade. Crede che per riconquistare legittimità popolare, l’Ue debba progredire? E se sì, in quale direzione?
L’Unione europea deve progredire, su questo non ci sono dubbi. L’immagine della bicicletta è suggestiva e rispecchia la realtà. A mio avviso, cittadini e politici devono recuperare lo spirito che è stato alla base della nascita del processo di integrazione europea e che si potrebbe riassumere semplicemente così: mai più guerra in Europa. La “generazione euro” percepisce invece l’Europa in modo diverso, in termini attinenti quasi esclusivamente al terreno economico. E questo non va bene, soprattutto in un periodo di crisi.
Già. Il dibattito sull’Europa è caratterizzato dalla netta prevalenza di un linguaggio economico, a scapito di quello politico. Lo segnalava anche Larry Siedentop nel suo bellissimo “La democrazia in Europa” una decina di anni fa. Oggi si parla quasi esclusivamente di spread e austerità, ma l’Europa unita è solo questo?
E’ proprio quello che intendevo. L’Europa non è solo questo. Anzi: è fondamentalmente altro. Purtroppo, la necessità di promuovere la moneta unica ha fatto sì che si attuassero campagne di comunicazione, peraltro molto efficaci, orientate solo a questi aspetti economici. Anche perché l’euro era, per così dire, il “core business” delle banche, che erano poi le finanziatrici di queste campagne.
E qui veniamo ai problemi di comunicazione, al difficile rapporto tra opinione pubblica e istituzioni europee: a suo avviso cosa si potrebbe fare per comunicare meglio l’Europa?
L’Europa non deve solo comunicare di più, ma anche meglio. Su questo è necessario uno sforzo anche da parte dei media. L’Unione europea è una materia complicata, che va studiata e capita. Non si può comunicare in modo semplicistico, solo perché è più comodo e fa più effetto. Altrimenti non si potrà mai costruire quella coscienza europea che appare quanto mai necessaria e sulla quale bisognerebbe iniziare a lavorare già dalle scuole. Fortunatamente, abbiamo davanti mesi importanti, con l’anno della cittadinanza europea, la campagna elettorale per le elezioni europee della prossima primavera e quindi il semestre della presidenza italiana. Un appuntamento, quest’ultimo, al quale dobbiamo arrivare preparati nel migliore dei modi. Dobbiamo essere all’altezza del ruolo spetta all’Italia, quale Stato fondatore dell’Europa.
Il Governo ha qualche iniziativa in questo senso?
Sì, sta attuando una serie di iniziative, anche insieme al parlamento europeo e alla commissione. A giugno uscirà un bando sulla comunicazione. Poi ci saranno altri eventi nelle città e nelle piazze, sempre con l’obiettivo di riavvicinare l’Europa ai cittadini.
Non si potrebbe, ad esempio, raccontare la sua storia, il pensiero dei suoi padri fondatori, per comunicare una visione che vada oltre lo spread?
La sua storia è importante, ma io insisto sullo spirito dei padri fondatori dell’Europa che, ricordiamolo, è stata costruita in un momento in cui Francia, Germania e Italia avevano ancora di morti in casa, a causa della guerra. I loro premier hanno deciso di superare le storiche rivalità nazionali per intraprendere un percorso comune che impedisse il ripetersi delle tragedie che hanno caratterizzato la prima metà del Novecento, e non solo.
In un articolo per il sito di Ferpi proponevo di introdurre l’insegnamento della storia dell’integrazione europea nei programmi scolatici: non crede che i giovani siano sempre meno consapevoli del significato di questo progetto politico?
Sono d’accordo. Sarebbe importante rivedere i programmi di studio, aggiornandoli. Basterebbe anche un’ora alla settimana per dare ai ragazzi un’informazione di base su cos’è l’Europa.
C’è poi il ruolo dei social media. A mio avviso, questi strumenti facilitano la diffusione di messaggi semplicistici come “la Germania brutta e cattiva” o “gli stati del sud cattivi e spendaccioni”, contribuendo a diffondere un sentimento anti-europeo nell’opinione pubblica. E’ d’accordo?
E’ proprio così. Oggi è sempre più facile dare informazioni semplicistiche sulla base di stereotipi e luoghi comuni. Ma questo non fa bene all’Europa. Dire che ci sono paesi buoni e paesi cattivi, che poi cambiano a seconda della prospettiva, è sbagliato e fuorviante. L’obiettivo è un altro. Dobbiamo renderci conto che l’integrazione europea favorisce la convivenza pacifica tra i suoi Stati ma richiede anche rinunce. E’ proprio grazie ad alcune di queste rinunce che è stato possibile creare più opportunità per tutti, oltre a sessant’anni di pace e benessere.
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