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L'idustria chimica ha taciuto sui rischi dei suoi prodotti?

08/02/2005

Un libro pubblicato da due ricercatori universitari mette sotto accusa l'industria chimica statunitense. Il cloruro di vinile, da cui si ottiene il PVC, è dannoso e alcuni documenti ritrovati lasciano supporre che i produttori lo sapessero.

In un lungo e dettagliato articolo apparso su The Nation viene data notizia del caso scatenato dalla pubblicazione di un libro scritto da due storici sulle responsibilità di alcune industrie chimiche per le gravi malattie contratte dai loro lavoratori. Il libro in questione è intitolato Deceit and Denial: the Deadly Politics of Industrial  Pollution (Inganno e negazione: la politica letale dell'inquinamento industriale); gli autori sono Gerald Markowitz e David Rosner, professori universitari di storia e salute pubblica. La tesi esposta nel libro è, brutalmente sintetizzata, che alcune aziende chimiche commercializzassero prodotti a base di cloruro di vinile pur sapendo che questi erano nocivi per la salute sia degli operai che dei consumatori. Non per niente le principali aziende chimiche Usa, tra cui Dow, Monsanto, Goodrich, Goodyear e Union Carbide hanno fatto causa contro il comitato scientifico che ha raccomandato alla University of California Press la publicazione di Deceit and Denial.Potremmo trovarci dinnanzi a un caso dalla portata simile, se non addirittura maggiore, a quello che ha sconvolto il mercato del tabacco qualche anno fa. Anche in questo caso la domanda fondamentale riguardo le industrie implicate è: cosa sapevano? e da quando? Sì perchè sul fatto che il cloruro di vinile, utilizzato in molti prodotti anche di uso comune come la lacca per capelli e le bottiglie in PVC, abbia evidenti effetti cancerogeni non ci sono più molti dubbi. Le ricerche sulla dannosità del cloruro di vinile hanno avuto origine dalla causa intentata dalla moglie di un dipendente di un'industria chimica morto per un angiosarcoma al fegato contro l'azienda accusata di sapere e di aver taciuto sui rischi cui venivano esposti i lavoratori. Documenti risalenti al 1973 dimostrerebbero che i vertici aziendali sapevano.La reazione dell'industria chimica non si è fatta attendere ed è ben articolata: innanzitutto l'argomentazione principale è, come nel caso dell'industria del tabacco, che non ci sono prove certe che il cloruro di vinile sia cancerogeno; che le aziende non avevano l'obbligo di proteggere la salute né dei lavoratori né dei consumatori; che l'etica aziendale è tematica che solo recentemente ha assunto importanza capitale e che non si possono applicare gli standard etici odierni a comportamenti del passato, anche se molto prossimo; infine l'industria chimica getta discredito sugli storici che hanno condotto la ricerca e sulla modalità con cui essa è stata condotta. Quest'ultima accusa è argomentata sostenendo che la procedura di revisione tipica degli articoli scientifici non è stata seguita e ciò ne invaliderebbe i risultati. Sostenitore di tale tesi è Philip Scranton della Rutgers University, che ha scritto un articolo di quarantuno pagine altamente critico nei confronti di Deceit and Denial sostenendo che i due storici hanno infanto le regole del codice etico dell'American Historical Association. Nessun accademico interpellato a riguardo se l'è sentita di confermare la tesi di Scranton, obiettando invece che il processo di revisione del libro è in accordo con le leggi etiche e che anzi può essere considerato un ottimo esempio di accuratezza dell'indagine e della revisione.Nuovi spettri incombono dunque sull'industria chimica, nella migliore delle ipotesi "solo" un grave danno di immagine, nel caso per loro peggiore potremmo essere all'inizio di una serie di risarcimenti record a favore di dipendenti e consumatori avvelenati dal cloruro di vinile.
Gabriele De Palma - Totem
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