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Litigation PR: comunicatori e difensori, una collaborazione virtuosa

09/01/2018

Annalisa Atti (*)

Il processo mediatico è un tema che riguarda gli avvocati da molti punti di vista e non solo in ambito penale. Senz’altro è opportuno che il difensore conosca le Litigation PR ed i loro limiti deontologici, un aspetto talvolta sottovalutato che potrebbe però rivelarsi più centrale di quanto non appaia, nel cammino verso la migliore collaborazione possibile tra professioni diverse, come racconta Annalisa Atti, tra gli autori di "Litigation PR", il volume edito da Pacini Giuridica.

Il “processo mediatico", ovvero la rappresentazione dei fatti di causa attraverso i mezzi di comunicazione, in maniera autonoma – quando non antitetica – rispetto all'accertamento che dei medesimi fatti avviene in giudizio, è un tema che interessa gli avvocati da molti punti di vista.

Senz’altro, l’aspetto più “sensibile”, nell’ottica del difensore, è quello dell’interferenza dei media nello svolgimento di un processo penale; interferenza come possibile influenza e condizionamento su giudice, accusa, testimoni ed opinione pubblica. Questo è il campo più tradizionale di cui si occupano le Litigation PR, e il tema più esaminato, giuridicamente e deontologicamente, dal punto di vista dei difensori.

Ma il processo penale non è il solo a richiedere una decisa sensibilizzazione del legale sull’importanza di una corretta gestione dei media e dell’opinione pubblica, in relazione ad una controversia. Tutti ricorderanno il caso Volkswagen: l’improvvisa rivelazione pubblica dell’inganno, perpetrato dalla compagnia a proposito delle emissioni inquinanti dei propri motori diesel, ha provocato un crollo del titolo in borsa, con una perdita di 24 milioni di euro in due giorni. In molti casi noti, liti familiari tra personaggi esposti pubblicamente hanno provocato danni d’immagine devastanti, ed effetti negativi sull’attività professionale ed imprenditoriale degli stessi.

L’avvocato ha, tra i doveri nei confronti della parte assistita, quello di “difendere nel miglior modo possibile gli interessi del suo cliente” (art. 2.7 Codice deontologico avvocati europei), e quello di “adempiere fedelmente il mandato ricevuto, svolgendo la propria attività a tutela dell’interesse della parte assistita” (art. 10 Codice deontologico forense). Ciò comporta non solo, com’è ovvio,  difendere in diritto al meglio il proprio cliente, ma anche considerare e gestire la tutela e la difesa della reputazione, del patrimonio etico e di quello economicamente valutabile del proprio assistito. Una ottima difesa, slegata dalla cura dell’aspetto comunicazionale, è una difesa che può rivelarsi non efficace, nel breve o lungo periodo. Perciò è senz’altro opportuno innanzitutto che il difensore conosca le Litigation PR, e poi che sappia come ed in che modo consigliare il proprio assistito a servirsene, indirizzandolo verso i professionisti del settore più adatti a quel caso specifico, con i quali collaborerà per la parte specificamente giuridica della (sovra)esposizione mediatica del cliente coinvolto in una lite. Questa competenza, questa abilità dell’avvocato può costituire un atout, un servizio in più offerto ai propri clienti, ma anche fornire un’arma in più ai professionisti del settore.

Il difensore, però, per operare al meglio in questo campo deve anche necessariamente conoscere i limiti deontologici delle Litigation PR che lo coinvolgano, poiché egli risponde personalmente non solo delle proprie violazioni deontologiche, ma anche di quelle commesse da suoi incaricati o collaboratori, che sono dunque tenuti al medesimo rispetto delle norme deontologiche a lui imposto. Tematica rilevante dunque non solo per gli avvocati, ma anche per i professionisti delle Litigation PR. Una ottima strategia comunicazionale, senza conoscenza e rispetto della deontologia delle professioni giuridiche, rischia di essere, per certi versi, controproducente.

Nel volume Litigation PR uno dei contributi mira a dare un primo inquadramento di questi aspetti, molto specifici, in riferimento agli articoli 18, 28 e 57 del Codice deontologico forense, anche mediante l’esame dei pochi casi concreti effettivamente sottoposti, fino ad oggi, al vaglio disciplinare.

Un aspetto di nicchia, forse, che potrebbe però rivelarsi più centrale di quanto non appaia, nel cammino verso la migliore collaborazione possibile tra professioni diverse, ma che tendano al medesimo risultato finale.





(*) Autrice del libro
 LITIGATION PR, Pacini Giuridica
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