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Lo Stato del business

01/04/2010

Dalle pagine del supplemento de La Repubblica, _Affari e Finanza_, Carlo Alberto Pratesi mette in evidenza il ruolo della reputazione nel rapporto tra imprese e pubblica amministrazione, consultando anche voci autorevoli quali quelle di Toni Muzi Falconi e Carlo Mochi Sismondi.

di Carlo Alberto Pratesi (*)
“Sono almeno due le tendenze di cui tenere conto nell’affrontare il tema dei rapporti tra aziende e pubblica amministrazione. La prima riguarda l’intervento dello Stato nell’economia, che negli ultimi tempi è aumentato notevolmente (e non solo in Italia). Dopo l’ultima violenta crisi, la tesi di chi suggeriva una crescente liberalizzazione del mercato ha perso molti seguaci, sia tra i politici che gli economisti. Il mito del laissezfaire (in italiano “lasciate fare”) è tramontato, anche per la spinta degli stessi imprenditori che, in periodi di congiuntura meno favorevole, non esitano a chiedere aiuti e interventi, in tutti i campi e a tutti i livelli dell’economia.
Una seconda tendenza, anche essa piuttosto recente, è quella che rende sempre più trasparenti i rapporti che si instaurano tra imprese e istituzioni: quelle relazioni che finora tutti percepivano come molto “private”, e quindi lontane dagli sguardi e dalle orecchie della collettività (le recenti intercettazioni telefoniche e la disinvoltura con la quale si trattano certe questioni ne sono la dimostrazione), oggi occupano le pagine dei quotidiani, i talk show televisivi, i forum e i blog. Mai come adesso, quindi, vale la regola del “non fare nulla oggi che non saresti contento di leggere domani in prima pagina”.
«La convergenza di queste due tendenze — maggiore intervento dello Stato, e grande visibilità dei rapporti tra imprese e pubblica amministrazione — impongono alle organizzazioni di dotarsi di una vera e propria politica di “gestione” della relazione con la Pa, che sia costantemente rendicontabile e controllabile da chi opera dentro e fuori le aziende — spiega Toni Muzi Falconi, che insegna global relations and intercultural communication alla New York University — lo chiedono l’opinione pubblica, gli investitori e le stesse istituzioni». Prova ne è che anche il recente disegno di legge anti corruzione inserisce esplicitamente i “parametri reputazionali oggettivi” come elemento qualificante per un’impresa interessata ad avviare un rapporto con la Pa.
«Se ho bisogno di un artigiano, oltre al prezzo migliore tengo conto dell’esperienza di qualche amico che lo abbia sperimentato; se cerco un albergo guardo su Internet i commenti di chi c’è stato. Solo le amministrazioni pubbliche, adesso come adesso, sono costrette, nello scegliere i propri fornitori, a non tener conto di esperienze negative precedenti (a meno che non siano state oggetto di condanna giudiziaria). Insomma, per la PA la reputazione non vale, o meglio non valeva, perché oggi un’importante norma del disegno di legge anticorruzione pare porre rimedio a questa colpevole ingenuità» scrive Carlo Mochi Sismondi, direttore generale del forum Pa nella newsletter della Ferpi Federazione Relazioni Pubbliche Italiana.
«Se l’obiettivo è quello di avere una reputazione che sia “oggettivamente” buona, per le aziende non sarà un percorso facile, considerato che ancora oggi non investono molto nella trasparenza (senza contare i casi di non legittimità) e fanno fatica a raccontare quello che fanno o intendono fare in termini di rapporti con le istituzioni. — commenta Muzi Falconi — D’altra parte, da ora in poi, sarà ancora più difficile esimersi dal definire e comunicare una propria policy che non si limiti a un banale codice etico (che, come si è visto, nella pratica viene del tutto dimenticato), ma indichi gli obiettivi, i percorsi per raggiungerli e i criteri di controllo nell’ottica della massima trasparenza. In sintesi: occorre che la comunicazione sia coerente con l’azione».
Va detto che anche per le aziende mosse dalle migliori intenzioni, il rapporto con la Pa resta piuttosto complesso, soprattutto per i tempi attuativi che costituiscono oggi una variabile critica di ogni processo decisionale. Infatti, se da un lato il mercato impone azioni sempre più rapide, dall’altro lato le amministrazioni chiedono periodi sempre più lunghi per portare a termine le loro procedure, specie se nell’iter si devono coordinare i vari livelli centrali e locali.
In termini organizzativi, l’insieme di tutte queste nuove criticità richiede alle aziende qualcosa di più di una sola persona che segue i rapporti con la Pa: nei settori industriali dove lo Stato è più presente occorre prevedere nell’organigramma una funzione ad hoc, incaricata di guidare e agevolare tutte le altre componenti dell’azienda che, a vario titolo, interagiscono con le amministrazioni. In pratica, sono almeno quattro le professionalità che servono alle imprese per un buon governo dei rapporti con la Pa:
a) l’ issue manager, ossia colui che coordina un gruppo di lavoro su uno specifico problema (per esempio, la Tav in Val di Susa o la centrale elettrica di Civitavecchia) non deve essere un esperto ma avere la capacità di team management;
b) l’ issue analyst, ossia chi sa tutto su una tematica (per esempio una gara pubblica) e raccoglie le informazioni utili, mettendole a disposizione dei colleghi coinvolti;
c) l’ account, quello che sviluppa tutti i contatti con le persone coinvolte nel processo, all’interno e all’esterno e governa le relative relazioni;
d) l’ advocate, cioè il lobbysta vero e proprio, che non deve essere necessariamente un esperto, né un manager, ma deve conoscere molto bene tutti i meccanismi di funzionamento della Pa e sapere come e dove intervenire se qualcosa non va per il verso giusto".
(*) Università Roma Tre
Tratto da La Repubblica – Affari e Finanza
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