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Lo storytelling dell’Europa unita

23/05/2012

In uno dei momenti più difficili della storia dell’Unione europea, le recenti elezioni presidenziali francesi hanno mostrato, per la prima volta, l’esistenza di un’opinione pubblica europea. Ma questo dato di fatto non è necessariamente positivo. La grande narrazione dell’Europa unita pare aver perso di efficacia e predomina l’euroscetticismo. La riflessione di _Andrea Ferrazzi._

di Andrea Ferrazzi
“La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche. La Francia, facendosi da oltre vent’anni antesignana di un’Europa unita, ha sempre avuto per obiettivo essenziale di servire la pace. L’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra. L’Europa non potrà farsi una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”. Iniziava così la dichiarazione pronunciata a Parigi dall’allora Ministro degli Esteri francese, Robert Schuman. Sono trascorsi oltre sessant’anni da quel 9 maggio 1950, che – pochi lo sanno – viene oggi celebrato come Festa dell’Europa. Nasceva allora la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, i cui membri avrebbero messo in comune le produzioni di carbone e acciaio, e si metteva così in moto quel processo di integrazione che, tra slanci e crisi, ha portato all’Unione europea che oggi conosciamo e che, purtroppo, sta attraversando uno dei suoi momenti più difficili.
In questi giorni si sprecano le riflessioni sulla disgregazione della moneta unica e sui possibili effetti sulla nostra vita quotidiana. Ma c’è chi rileva che le recenti votazioni, ad iniziare dalle presidenziali francesi, si sono contraddistinte per un elemento in particolare: la presenza di un’opinione pubblica europea. “Per la prima volta – scrive il politologo Sergio Fabbrini su Il Sole 24 Ore – l’Europa (cioè l’Unione europea e le politiche da essa decise e perseguite) ha rappresentato l’oggetto predominante dello scontro elettorale. Non era mai successo prima. Anzi, nelle precedenti elezioni, non solo nei paesi in questione, l’Europa era rimasta sullo sfondo e la vera contesa aveva riguardato la conquista del potere nazionale. Non più. La crisi finanziaria dell’euro è divenuta una crisi esistenziale dei cittadini europei. L’euro e il suo destino hanno fatto capire a tutti che, nell’Unione, ogni stato membro è interdipendente con gli altri. È stata la percezione generalizzata di tale trasformazione che ha portato ad una politicizzazione senza precedenti dell’Europa. Anche coloro che rifiutano l’integrazione europea, che vogliono ritornare alle vecchie monete nazionali, anche costoro hanno dovuto misurarsi con l’Europa”.
Tutto bene, dunque? Non proprio. Perché in queste elezioni a vincere è stato soprattutto l’euroscetticismo, interpretato da forze politiche diverse ma ugualmente in ascesa. Cresce, insomma, l’ostilità degli europei verso l’Europa unita, tanto che il progetto di Schumann, Monnet, Adenauer, De Gasperi, Spinelli rischia di naufragare nei mari tempestosi della crisi economica. Secondo un sondaggio pubblicato dal sito web del quotidiano britannico The Guardian, il 72% degli elettori britannici ritiene che la Grecia sia ormai sulla strada per l’uscita dall’Eurozona, e il 52% pensa anche che la stessa Eurozona è avviata verso la sua disintegrazione, con altri paesi che saranno costretti a uscire dal club della moneta unica. Certo: gli inglesi sono da sempre “freddi” verso la costruzione europea. Ma questo sentimento disfattista sembra travalicare la Manica e investire anche altri paesi, come l’Italia, i Paesi Bassi e la Francia.
Il fatto che l’Europa sia stata l’oggetto predominante dello scontro politico non può perciò rappresentare, di per sé, un elemento positivo, né tanto meno un segnale dell’esistenza di un’opinione pubblica europea. Piuttosto, le recenti elezioni dimostrano che la “grande narrazione dell’Europa unita” ha perso di efficacia ed è questo, forse, l’aspetto più preoccupante dell’attuale situazione. Mancano i “profeti dell’integrazione europea”, figure in grado di raccontare ai cittadini, parlando al loro cuore più che al loro cervello, l’importanza di questo progetto politico, il valore della dichiarazione Schumann e il contesto in cui essa è maturata. Troppo concentrati sullo spread e sulle questioni tecniche ed economiche, i politici sembrano essersi dimenticati della spinta ideale e delle ragioni storiche che hanno portato alla nascita della Comunità europea. E’ da qui che si dovrebbe ripartire per riportare, anche attraverso una comunicazione efficace, l’Europa nel cuore dei cittadini. Da quel 9 maggio 1950 e dalla narrazione che allora si iniziò a scrivere, sulle macerie di un continente che usciva da uno dei periodi più bui della sua storia. Non è forse un caso di “storytelling” questo?
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