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Lobby: parola chiave trasparenza

01/03/2012

Il dibattito sulle liberalizzazioni e sulla recente istituzione del registro dei lobbisti del Mipaf hanno dato un impulso al processo di regolamentazione della rappresentanza di interessi presso le istituzioni pubbliche italiane. Un tema di quotidiana attualità su cui riflette _Mario Rodriguez,_ all’indomani dell’approvazione delle linee guida del Senato su cui sono intervenuti il presidente Ferpi, _Patrizia Rutigliano_ e _Beppe Facchetti,_ presidente Assorel.

È di ieri (N.d.R. 28 febbraio 2012) la decisione del Consiglio di Presidenza del Senato di approvare “le linee guida per la redazione di un Regolamento interno della rappresentanza di interessi, al fine di disciplinare i rapporti tra Senatori e portatori di istanze della realtà economica, sociale e culturale alla luce dei principi del pluralismo e della trasparenza”. Discordanti le opinioni in merito delle due maggiori associazioni nazionali di Rp. Per il presidente Ferpi, Patrizia Rutigliano, si tratta di “un utile contributo per garantire la trasparenza del processo decisionale e la democraticità di accesso alle istituzioni. Auspichiamo adesso che si uniformino anche le altre istituzioni onde evitare una proliferazione di norme disomogenee”. Secondo il presidente Assorel, Beppe Facchetti, invece “la lobby è un’attività di rappresentanza di interessi di alto valore professionale e di grande rilievo democratico. Il vero problema però è la regolamentazione, non l’esclusione, e la recente iniziativa del Ministro Catania dimostra che una sensibilità si sta affermando anche in Italia”.
di Mario Rodriguez
È molto probabile – come dice Fabio Bistoncini, fondatore e partner di FB e Associati, autore di un’autobiografia professionale intitolata Vent’anni da sporco lobbista (Guerini e associati) – che la causa dell’accentuato attivismo dei lobbisti sia la presenza di un governo che decide e non tanto quella di un governo di tecnici. I lobbisti affollano le anticamere del senato perché c’è un governo che decide tante cose in tempi ristretti e che ha presentato un dispositivo con quasi cento articoli e un numero ancora maggiore di soggetti coinvolti. E non perché c’è un governo tecnico che, non avendo ministri espressioni di partiti, non gode della capacità di filtro che questi possono rappresentare.
Resta il fatto comunque che, a fronte di una riduzione del ruolo e della reputazione dei partiti, la società italiana, i suoi processi decisionali pubblici, sembrano più affollati di rappresentanti professionali di interessi organizzati, appunto i lobbisti.
C’è un legame tra l’indebolimento delle forme tradizionali della rappresentanza e l’ascesa, più o meno resistibile, di nuovi soggetti della mediazione sociale? Parliamo di un indebolimento che non tocca solo i partiti politici ma anche le altre forme di rappresentanza: dai sindacati dei lavoratori a quelli delle categorie “datoriali” industriali, commercianti, artigiani, coltivatori. Sono alcune decine d’anni che, in Italia, le forme della rappresentanza collettiva sono sotto una forte tensione che ha contribuito a mettere in crisi i vecchi assetti ma non a farne nascere nuovi e stabili.
Chiariamo però subito che per lobbismo si intende una rappresentanza di interessi svolta in modo trasparente, cioè dichiarato e, aggiungerei, fatturato come attività professionale. Il faccendiere, il mediatore di scambi di favore, il corruttore, figure certo presenti all’ombra di tutti i palazzi della decisione politica e pubblica, mettono in atto comportamenti illeciti e illegali che non meritano di essere chiamati lobby. Torniamo ai lobbisti, quelli veri.
Quelli professionali. Ce ne sono davvero di più? Assistiamo davvero al consolidarsi di una nuova professionalità? Certamente sì. E, quindi, è urgente e opportuna un’agile e semplice regolamentazione che ne renda riconoscibili e tracciabili sia la presenza sia il comportamento. Il lobbismo deve essere riconosciuto come una delle modalità attraverso le quali emerge la dinamica degli interessi in una società dove, non solo la complessità cresce, ma dove questa si sviluppa esponenzialmente per le migliaia di interrelazioni che connettono i molteplici campi di attività e quindi, anche, gli interessi.
Da un lato, complessità e articolazione sociale sono già molto cresciute e si svilupperanno ancora di più nei prossimi anni. Dall’altro, le forme della rappresentanza degli interessi si sono sclerotizzate in apparati burocratici che si autoperpetuano in ambiti non competitivi. Questo rappresenterà sempre più una camicia di forza per una società che non accetta più di essere contenuta in logiche verticistiche e centralistiche. È un aspetto del faticoso cammino dalla società corporativa, statalista, paternalistica alla società liberalizzata che oggi sembra avanzare più per la necessità imposta dalla crisi che per la capacità del sistema politico.
La presenza dei lobbisti quindi è un ulteriore segnale di processi di cambiamento di lunga durata che non accettano di essere inquadrati in vecchie e costose strutture burocratiche, ma che vanno governati con grande capacità adattativa, con regole chiare, procedure snelle e con un grande atteggiamento di fiducia nella capacità della società di trovare le proprie forme di autoregolamentazione.
Quindi la maggiore presenza dei lobbisti è una testimonianza della più generale trasformazione del sistema della rappresentanza ed è anche un’ulteriore sfida per il ruolo dei partiti. Lobbisti professionalmente validi che agiscono in modo riconoscibile e trasparente possono agevolare il confronto, la competizione, il conflitto tra gli interessi in gioco e possono contribuire all’individuazione delle migliori decisioni possibili.
Di fronte a queste nuove professionalità vanno ridefinite anche quelle degli attori politici, dei “deputati a rappresentare” e di conseguenza quella dei partiti. Ha certo ragione Ilvo Diamanti a non credere che possa esistere una democrazia senza partiti ma, sicuramente, come c’è democrazia e democrazia, ci sono molti modi diversi di organizzare i partiti. Forse oggi sotto la spinta di fenomeni sociali forti che mettono in atto nuove forme di rappresentanza sarebbe il caso di entrare nel merito e dire come organizzare i partiti adatti al nostro tempo. Come, ad esempio, affrontare almeno alcuni dei problemi sui quali si sta mostrando la corda: contendibilità della leadership, accountability economica e politica dei gruppi dirigenti, ruolo degli elettori per riequilibrare le spinte spontanee alle chiusure oligarchiche, rapporto iscritti eletti, rapporto tra strutture di partito e istituzioni. Aspettare ancora potrebbe significare che presto qualche gruppo sociale penserà di rivolgersi ai lobbysti piuttosto che ai partiti.
Tratto da Europa
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