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Luigi Norsa sul rischio media dipendenza degli inquirenti

29/06/2004

Dopo l'editoriale della scorsa settimana, interviene sul tema Luigi Norsa.

La scorsa settimana abbiamo pubblicato un articolo di Toni Muzi Falconi sulla dilagante media dipendenza degli inquirenti che ha provocato questo utile intervento dell'amico Luigi Norsa:"Tu sollevi in realtà due questioni: una riguarda le indiscrezioni provenienti da fonti della procura o degli organi inquirenti, l'altra la comunicazione ufficiale di corpi dello stato. Sono due facce diverse di uno stesso effetto, ma che vanno viste separatamente.Le indiscrezioni sono un fenomeno di malcostume, talvolta frutto di un do-ut-des che può riguardare un occhio di riguardo verso il magistrato o una più concreta mancia all'usciere o al cancelliere. Che ci sia un modo di prevenirle, ho seri dubbi, d'altronde non si riesce a evitare quelle su cosa succede in Consiglio dei Ministri, figuriamoci…. Talvolta queste indiscrezioni assumono aspetti realmente stupefacenti: ho visto un procuratore annunciare un rinvio a giudizio in una intervista a Repubblica, tre mesi prima di formalizzarla.L'altro aspetto è quello invece delle notizie che escono – sotto forma di conferenze stampa o di comunicati – da parte di corpi dello stato. La pubblica amministrazione ha scoperto la comunicazione e questo fa sì che Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, Vigili del fuoco svolgano una attività di informazione sulla loro attività.Quando un giornalista ha una notizia non si può contare che faccia molti distinguo. Certo sarebbe preferibile che, come fanno i colleghi anglosassoni, chiamasse l'interessato a tarda sera dicendo "fra mezz'ora andiamo in macchina con un pezzo su…, qual è la sua posizione in merito?". I motivi per cui non succede li hai chiaramente illustrati tu. Certo se l'interessato avesse la possibilità e la volontà di intervenire con chiarezza, talvolta potrebbe contenere i danni e far sì che certi addebiti siano visti in una prospettiva diversa dal pubblico. Oggi dobbiamo anche fare i conti con interessi di corpi dello Stato che sono conflittuali con l'impresa coinvolta in un caso: ricordo una presentazione di una collega australiana su un incidente industriale, in cui riferiva come aveva dovuto fare i conti anche con i drammatici video distribuiti alle TV dai pompieri australiani interessati a mostrare quanto fossero stati bravi a intervenire in un simile inferno… L'impresa vorrebbe smorzare i toni, mentre altri vogliono enfatizzarli.Il problema che poni comunque è serio, anche se mi permetto di dubitare che sia "l'elemento che più di ogni altro tiene lontano gli investimenti internazionali": ahimè temo che il nostro paese ne abbia di ancora più seri.Vorrei fare alcune considerazioni:c'è ancora qualcuno che dubita sul fatto che il tribunale dell'opinione pubblica sia per una azienda meno importante di quello che si svolge nelle aule di giustizia….. Innanzitutto gli avvocati, il cui obiettivo è di vincere il procedimento e che spesso premono per una comunicazione che non dica assolutamente nulla di comprensibile e rilevante, preferendo tenere in serbo per il dibattimento le argomentazioni valide. Seguiti in questo, spesso, dai manager coinvolti, più preoccupati della propria fedina che dello sputtanamento dell'azienda e del brand. Una prescrizione val bene qualche palata… Personalmente, quando mi capita di trovarmi in un conflitto con il legale sui contenuti della comunicazione la posizione che esplicito è "la mia raccomandazione è di seguire quanto consigliato dall'avvocato se lei è colpevole, se invece è innocente mi preoccuperei di dimostrarlo subito"si possono confezionare su misura per colpire un nemico o un concorrente….Nei miei file conservo una deliziosa cartella stampa confezionata da un collega, che peraltro stimo come professionista, che per supportare un farmaco confezionava una ventina di pagine dedicate a un processo americano in cui un uxoricida era stato assolto perché affermava di essere sotto l'effetto del farmaco concorrente e solo tre per illustrare il farmaco del suo committente. Dossier ne circolano, abbastanza improbabile però che qualcuno possa essere così potente da influenzare una conferenza stampa di carabinieri o guardia di finanza.talvolta i media sanno essere di una discrezione incredibile… Ricordo un caso di corruzione di gestori italiani, originato da una denuncia alla SEC dalla convivente di un broker, che a differenza di quanto accadde negli USA passò praticamente sotto silenzio in Italia, riportato solo da una testata di tiratura minore e ignorato da tutti gli altri.La questione è spinosa. Il protagonismo (talvolta unito a incapacità di capire) di certi inquirenti, possono generare mostruosità – specie se il consulente cui si affidano è un tanghero – che quando diventano di dominio pubblico hanno effetti devastanti.Personalmente ritengo si possa fare una efficace comunicazione di crisi anche quando una impresa si trova coinvolta in un caso giudiziario, il problema è che spesso quello del segreto istruttorio diviene un alibi per non affrontare i temi scottanti sollevati dalle accuse. Mi sembra di poter osservare che all'estero la comunicazione sia diventata un elemento della strategia di difesa, anche legale, e non limitata come spesso qui ad una opportunità di pubblicità per gli avvocati.Ho invece qualche dubbio che un tavolo di lavoro comune possa cambiare le cose".Ed ecco la risposta di Toni Muzi Falconi:Caro Luigi,grazie per questo acuto intervento che si presterebbe ovviamente a ulteriori e specifiche osservazioni e approfondimenti. Come forse avrai osservato è da un po' di mesi che… una volta sulla comunicazione politica, una volta sulla finanziaria, una volta sull'intreccio fra interessi commerciali e l'informazione, ora sulla comunicazione giudiziaria…. cerco ripetutamente di sollevare la questione di fondo su come potrebbe essere diverso (nell'interesse dei lettori ma anche in quello delle diverse categorie professionali coinvolte) il sistema di rapporti fra giornalisti e relatori pubblici.Appare evidente come la vicenda interessi abbastanza poco i miei colleghi (fatte ovviamente le debite eccezioni) e meno ancora i nostri interlocutori. Me ne farò una ragione, ma non intendo demordere. Forse è lo scetticismo che ti fa dire che un tavolo di lavoro comune non possa cambiare le cose. In Inghilterra la mia amica Anne Gregory ci sta provando da qualche mese e forse ha trovato una formula che funziona. Noi ci abbiamo provato con Assorel a proposito della comunicazione finanziaria e, sia pure con fatica, qualche passo avanti l'abbiamo fatto. Insomma, Luigi, dacci una mano anche tu con un po' di sano ottimismo: mi pare che qualche segnale indichi che la consapevolezza del baratro sia diffusa. Che facciamo? Ci tiriamo indietro proprio adesso? (tmf)
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