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Ma c’è davvero conversazione nelle Rp?

26/05/2009

Le relazioni pubbliche oggi sono davvero un dialogo a due vie o, meglio ancora, una conversazione tra le organizzazioni e i loro stakeholder o ‘pubblici’? Oppure sono un monologo alto-basso? O ancora quello che il filosofo Martin Buber ha definito “un monologo camuffato da dialogo”?

di Jim Macnamara


Definizione e ridefinizione dei media:
Dall’alto-basso al Web 2.0


I media e la comunicazione sono sempre più spesso definiti e identificati come pratiche piuttosto che come tecnologie o testi o produttori o audience, sui quali invece si sono, in passato, concentrate le ricerche sui media.


Per esempio, la storica dei media Lisa Gitelman li definisce come “strutture di comunicazione realizzate nella società, includendo nelle strutture sia le tecnologie sia i relativi protocolli, e intendendo per comunicazione una pratica culturale”. L’esimio studioso Nick Couldry, scrivendo di Internet e delle società moderne, propone un nuovo approccio alla ricerca sui media che si incentri su “media come pratica” in cui i media sono inclusi e strettamente connessi alle pratiche sociali e culturali.


Con la rapida crescita dei network di Internet aperti al pubblico e l’evoluzione del Web 2.0, le modalità con le quali si realizzano media e comunicazione sono ridefinite non solo nelle società democratiche, ma persino in quelle non democratiche. Alcuni parlano dei principali cambiamenti in termine di cinque, sei o persino sette ‘C’ e precisamente:


• connettività (come mai prima d’ora)
• conversazioni rese possibili dalle potenzialità interattive del Web 2.0 e
• collaborazione che è indispensabile
• collettiva comprensione da creare
• contenuti che sono sempre più generati dagli utilizzatori, mutevoli e apertamente condivisi, il che porta a
• comunità non condizionate da vincoli territoriali e che consentono una reale
• comunicazione


Questi fattori stanno rivoluzionando gli approcci al design creativo, alla pianificazione strategica delle organizzazioni, allo sviluppo dei prodotti, alle definizioni delle strategie politiche e a molti altri settori. Ma in termini di media e comunicazione, ci sono tre caratteristiche particolarmente degne di nota:


1. Uno spostamento dal monologo dall’alto-al-basso e ad una via al dialogo. Oggi la gente vuole dire la sua e ha gli strumenti per farlo;


2. Inoltre, il dialogo a due vie non funziona con discorsi formali, retorica o propaganda o ciò che Geert Lovink definisce ‘lezioni’ e ‘sermoni’ tenuti dalle élite tipo politici, istituzioni o giornalisti. Invece le pratiche culturali si sono trasformate in conversazioni – persone vere che parlano con la loro voce vera e ascoltano;


3. La sincerità è un elemento essenziale delle conversazioni e dell’impegno nell’utilizzazione dei media incentrati sulla collaborazione, l’intelligenza collettiva, i contenuti aperti e le comunità.


Ma dove sono le relazioni pubbliche? Dov’è il dialogo?


Alla luce di questo trend, vediamo come si pongono le relazioni pubbliche.
Dopo un inizio incerto, le relazioni pubbliche si sono auto-definite diverse dalla propaganda e anche dalla pubblicità. I modelli moderni di rp enfatizzano la comunicazione a due vie, il dialogo e la relazione.


Da un punto di vista pratico, le relazioni pubbliche hanno riconosciuto e accettato che gli atteggiamenti, le percezioni e le azioni degli individui non possono essere controllati, e neppure lo possono i contenuti editoriali, al massimo possono essere influenzati.
La pubblicità opera apertamente secondo un paradigma controllato mentre, almeno in teoria, la pratica delle relazioni pubbliche segue un modello che prevede negoziazione e condivisione.


Martin Sorrell, Chief Executive del Gruppo WPP, ha parlato della natura aperta ed incontrollata delle rp in un intervento sui media e la comunicazione del futuro tenuto a New York allo Yale Club lo scorso novembre. Ha detto: “Ci sono rischi e opportunità inerenti all’ambiente comunicativo più complesso e incontrollato dei social media. Ma le relazioni pubbliche sono abituate a lavorare in un ambiente incontrollato. E’ il loro territorio naturale”.


Ma è così?


La mia esperienza, più che decennale, di analista dei media – ho analizzato centinaia di interviste, dichiarazioni e sei programmi di media training – mi dice che, da qualche tempo in qua, la pratica delle rp ha abbandonato il suo impegno a lavorare in un ambiente incontrollato.


E’ ormai quasi universalmente riconosciuto che la pratica delle rp comporta la creazione e la distribuzione di messaggi sempre più promozionali e accuratamente redatti, mentre ai portavoce delle organizzazioni viene raccomandato di ‘attenersi al messaggio’: gli si insegna a ripetere il messaggio-chiave all’infinito in ogni intervista, senza quasi mai rispondere alle domande che gli vengono poste.
In pratica, molti media training insegnano ai portavoce a non rispondere alle domande.


La maggior parte dei programmi di media training e manuali di analisi usano termini come ‘gestire’ l’intervista, ‘controllare’ l’intervista e tutti raccomandano di avere messaggi pre-confezionati e di attenersi al messaggio, qualunque sia la domanda.
Le interviste ai media sono diventate delle promozioni più che dei dialoghi. Analogamente, i comunicati stampa, le newsletter, i siti web e molti blog istituzionali presentano immagini dell’organizzazione levigate, retoriche, ritoccate con il Photoshop, molto simili ad un annuncio pubblicitario.


E’ vero che alcuni programmi di relazioni pubbliche si stanno davvero sforzando di usare il Web 2.0 e questo è sicuramente un passo verso il dialogo. C’è tuttavia il pericolo che, anche se il nuovo mezzo interattivo è disponibile e viene usato, molte delle abitudini che si sono consolidate negli ultimi due decenni saranno trasferite al Web 2.0. Ne sono testimonianza i molti blog istituzionali e delle organizzazioni che sono fortemente ingabbiati.


Dove è il dialogo? Dove è la conversazione? Dove è la sincerità?


Il fatto che molti relatori pubblici misurino ancora le uscite redazionali calcolando lo spazio secondo i costi della pubblicità è una ulteriore dimostrazione del fatto che, nelle relazioni pubbliche, spesso gli spazi redazionali sono assimilati agli spazi pubblicitari.


Contemporaneamente, quasi per assurdo, la pubblicità è in grave sofferenza: la nuova generazione dei cinicamente astuti utilizzatori dei media rifiuta l’iperbole, la metafora superficiale e le facili promesse di uno spot da 30 secondi o di un annuncio pubblicitario. In televisione, la pubblicità viene eliminata con lo zapping. Su Internet viene cancellata usando un software che la blocca, mentre molti siti non la permettono proprio.


Deloittes ha evidenziato che l’insofferenza del pubblico verso la pubblicità sta crescendo e c’è una ricerca che ha rilevato che il 76% degli utilizzatori di Internet considera la pubblicità on line intrusiva, con un 28% che afferma di essere disposto a pagare per evitarla.


I problemi della pubblicità non sono dovuti alle nuove tecnologie – tecnicamente la pubblicità può facilmente essere inserita nella maggior parte dei siti Web. Le motivazioni alla base del cambiamento sono l’uso dei media e le modalità della comunicazione – il crescente rifiuto del monologo ad una via alto-basso a favore dell’interazione e del dialogo e il rifiuto dello ‘spin’, della retorica e dell’iperbole a favore di una autentica conversazione.


A me pare che nel tentativo di ampliare i propri messaggi promozionali e il controllo della comunicazione, le relazioni pubbliche abbiano preso la direzione sbagliata sull’autostrada dell’informazione.


E questo cosa c’entra con la misurazione? Beh, forse non molto. Ma, ancora una volta, se misurassimo le attitudini, le percezioni, le aspettative e le reazioni dei pubblici-chiave sapremmo cosa fare per sintonizzare le organizzazioni con i loro pubblici e non alienarseli. Un’altra strategia di misurazione potrebbe essere costruire un ‘indice della manipolazione’ che misuri quanto la comunicazione di una organizzazione sia autentica e davvero a due vie e a che punto si rischia di entrare in zona ‘manipolazione’.



* Jim Macnamara PhD, FPRIA, FAMI, CPM, FAMEC nel 2007 è stato nominato professore di Comunicazione Pubblica alla University of Technology di Sydney, dopo 30 anni di carriera nel giornalismo, relazioni pubbliche e ricerche sui media, culminata con la vendita, nel 2006, a CARMA Asia Pacific di Media Monitors da lui fondata e con la quale continua, anche dopo la vendita, a collaborare in qualità di consulente.


tratto da The Measurement Standard


(traduzione F.C.)
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