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Marketing e Islam: l'Ikea fa Csr con il corporate hijab.

28/03/2006

Un articolo di Enzo Mario Napolitano.

The Hijab Shop, nata nel 2004, è una società inglese che produce veli islamici per tutte le occasioni e le stagioni (www.thehijabshop.com), offrendo anche un servizio di spedizione in Australia, Canada e Giappone. Essa si può considerare come un esempio di marketing identitario, finalizzato a servire i membri della comunità di appartenenza, diffonderne i valori e, al contempo, promuovere la responsabilità sociale, poiché la società destina il 10% degli utili a organizzazioni islamiche di beneficenza.
Il velo islamico, secondo l'analisi di Patrizia Khadigia Dal Monte (1), deriva dalla "parola araba hija^b, viene dalla radice triletterale "h- j- b", che significa velare coprire, celare, nascondere qualcuno a; precludere qualcuno a qualcuno; togliere qualcuno da, sottrarre qualcuno a; rendere qualcuno invisibile; rendere qualcuno impercettibile per intromettersi&", da cui hija^b, involucro, coperta ,cortina, tenda, schermo, velo delle donne musulmane,diaframma, amuleto...".Secondo lo scrittore Khaled Fouad Allam (2) "Lo hijab è un'invenzione del XIV secolo e non ha un effettivo fondamento nel testo coranico. Nel Corano la parola hijab, che deriva dalla radice hjb, non indica un oggetto ma un'azione: quella di velarsi, di tirare una tenda, di creare un'opacità che impedisca lo sguardo indiscreto. Il passaggio della parola hijab dall´indicare un'azione all´indicare un oggetto avviene nel XIV secolo con il giurista Ibn Taymiyya. Egli è il primo ad utilizzare la parola hijab per riferirsi al velo in quanto oggetto, un velo che distingue le donne musulmane dalle non musulmane: esso diventa segno distintivo dell'identità e dell'appartenenza".
Lo hijab è da anni al centro di un acceso dibattito politico e culturale in tutto il mondo occidentale. Basti ricordare che è vietato nelle scuole pubbliche francesi e viene percepito come simbolo di ostentata diversità nelle scuole pubbliche italiane.
Un dibattito complesso che si ritrova, inoltre, tra gli stessi musulmani, provocando prese di posizione contrapposte. Un dibattito a cui ha contributo anche, a modo suo, la disegnatrice iraniana Marjane Satrapi che ha fatto del velo nero la cifra grafica che la contraddistingue.
La natura e le modalità di utilizzo dello hijab sono un tema estremamente complesso e interessante anche dal punto di vista del marketing come emerge dalla notizia, diffusa nella scorsa estate dalla stessa The Hijab Shop, che nel proprio sito aziendale annunciava che la nuova filiale di Edmonton di Ikea, la nota azienda di arredamento di design low-cost, ha commissionato la progettazione e la produzione di un own-brand hijab dedicato alle dipendenti di religione musulmana (muslim staff).
Un velo progettato tenendo conto delle esigenze aziendali e delle mansioni svolte dalle dipendenti che lo avrebbero portato. Un velo formato da due pezzi, senza fermaglio, di colore blue navy bordato in giallo e riportante il logo IKEA® in giallo. Un corporate hijab (così è stato definito in alcuni siti islamici) che testimonia dell'appartenenza delle lavoratrici all'Islam e al contempo a una comunità aziendale.
Lo hijab diventa così anche un media che testimonia del rispetto e dell'attenzione che l'azienda svedese (che per anni è stata criticata per alcuni atteggiamenti nei confronti dei dipendenti di colore) pone nei confronti delle identità religiose dei propri dipendenti.
Il corporate hijab è dunque diventato uno strumento comunicativo del  diversity management e della  corporate social responsibility di Ikea.
Un'iniziativa che non ha provocato reazioni contrarie nell'Islam e che potrebbe diventare una buona prassi di relazione e di comunicazione per tutte le imprese che impiegano donne musulmane, che decidono di indossare il velo sul luogo di lavoro. Essa sarebbe un'utile strategia per le imprese che vogliono avviare iniziative di marketing rivolte al "target islamico" coinvolgendo in prima persona le dipendenti islamiche.
Ma lo hijab nei paesi anglosassoni è ormai percepito anche come un prodotto di lusso  per donne islamiche dotate di elevato reddito tanto che la  scrittrice statunitense Asra Q. Nomani ha utilizzato il termine  "hijab chic" (3) nel redigere la cronaca di un seminario organizzato dalla catena commerciale Nordstrom presso il Tony Tysons Corner Center Mall in McLean e denominato "Interpreting Hot Trends for Veiled and Conservative Women". Un seminario in cui è stato individuato il target delle " well-heeled Muslim women"  che vivono nelle periferie del Nord Virginia e che spesso comprano nella catena Nordstrom .
Un target, stimabile nel mondo in quasi 500 milioni di clienti, a cui stanno guardando con interesse molti stilisti, ma anche i ricercatori accademici (4) che stanno operando come consulenti delle imprese statunitensi operanti nei Paesi Arabi.
Lo hijab, che resta un forte simbolo identitario, sta dunque diventando un prodotto di lusso (o,  attenendosi al titolo del seminario organizzato dalla Nordstrom, addirittura trendy?)  e al contempo uno strumento di governo delle relazioni tra le imprese e i pubblici islamici.
Con buona pace per la politica francese volta a cancellare tutti i simboli religiosi nell'illusione di fondare una comunità di eguali ma privi di identità.Enzo Mario NapolitanoEtnica, la scuola per l'economia interculturale www.etnica.biz - scuola@etnica.biz
Hanno collaborato Stella Scialpi ed Erika Mosca, allieve del Master in Management Interculturale MMI (Biella, 2006)

1. Patrizia Khadigia Dal Monte  su www.islam-online.it/donna/hijab.htm
2. La legge del Corano non impone il velo,  Khaled Fouad Allam,  La Repubblica, 22.1.2004, www.repubblica.it 3. Asra Q. Nomani, Hijab Chic How retailers are marketing to fashion-conscious Muslim women, www.asranomani,com
4. Jeffrey A. Fadiman, CASE 7-1 Beneath Hijab: Marketing to the Veiled Women of Iran, teaching note, San Jose State University.
 
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