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Matteo Tonoli declina la Speranza a InspiringPR 2024

19/04/2024

Anna Romanin

Tra tavolini della comunicazione, sogni e profumi di madeleine, Tonoli ci ha detto come vede la Speranza, una delle variabili fondamentali di un nuovo stile di leadership, che è esattamente lo stile di leadership necessario a gestire la complessità.

Quando ti è stata affidata la parola Speranza come speaker del decennale di InspiringPR, cos’hai pensato Matteo?
Che ne volevo disambiguare il significato. Questa parola secondo me si porta dietro un alone di ambiguità: la speranza vista come una sorta di immobilismo e di delega di fiducia a qualcun altro. Ecco, voglio cercare di far luce, togliere questo alone di immobilismo di cui la speranza si circonda. Quando si dice “incrociamo le dita”, No! Non incrociamo le dita per nulla, anzi le dita le teniamo ben sciolte perché ci servono.

È cambiato oggi il significato di Speranza secondo te? E se sì come?
Speranza aveva un significato profondo già nella filosofia degli inizi del Novecento, solo che era relegato a un po’ agli addetti ai lavori. Penso a Ernst Bloch e Walter Benjamin. Speranza legata alla dimensione del tempo e alla dimensione della memoria. Poi, a mio modo di vedere, si è sviluppata questa urgenza, cioè quella di definire un nuovo significato in un periodo più recente, negli anni Dieci del XXI secolo. La vedo - e questo è il mio punto di vista - come una delle tante conseguenze dell'esplosione del digitale. L'Infodemia che ha avuto come conseguenza che stiamo vivendo tutti noi in maniera drammatica una lacerazione del tessuto sociale.

Cosa intendi più precisamente?
Quel lubrificante sociale caratterizzato dalla fiducia sparisce. Come il lubrificante degli ingranaggi degli orologi una volta che la fiducia si deteriora non fa più il suo lavoro che è quello di facilitare le relazioni sociali, poi sostituirla e recuperarla è difficile.
La nuova dimensione di leadership comprende sicuramente la Speranza e comprende sicuramente la Fiducia, e le due sono collegate. Perché? Speranza dà speranza, conseguentemente fiducia. E comprende anche altre dimensioni, tra cui quello di saper padroneggiare una comunicazione che sia la meno ambigua possibile.

Qual è ad esempio una comunicazione ambigua?
WhatsApp è oggi uno dei simboli dell’ambiguità della comunicazione che non è più un tavolino che si regge su tre gambe: la dimensione verbale, la dimensione paraverbale, cioè quella dei degli accenti e degli stress che mettiamo sulle parole, e la dimensione non verbale, che è ciò che il nostro corpo dice. A quel tavolino togliamo la dimensione non verbale, quello che dice il corpo, che è la più pesante, la gamba più solida, così il tavolino si regge su due gambe e non sta in piedi. WhatsApp è un tavolino con due gambe che vorrebbe stare in piedi, ma non ci riesce.

La Fiducia l'abbiamo trattata tra l'altro come tema due anni fa ad un’edizione di InspiringPR, mentre la parola Speranza è stata protagonista di un Focus Group.  
Da un punto di vista neuroscientifico il nostro cervello è cablato per reagire a messaggi di speranza e di sogno. “We are such stuff as dreams are made on, and our little life is rounded with a sleep” - scriveva Shakespeare. Ci aggiungo il colore: con un colore di speranza o con un colore di minaccia cambia completamente l'atteggiamento e l'apertura mentale di chi riceve il messaggio. Se quello che diciamo è veicolato attraverso un messaggio di speranza, la mente di chi lo riceve si apre e vede più possibilità di quelle che immaginava.

Che colore ha la Speranza?
Penso che ciascuno ci metta il proprio colore. Cioè nel momento in cui il comunicatore, il leader, la leader, la comunicatrice riesce a veicolare una visione fondata sulla speranza, che è una speranza fattiva e non passiva, allora ciascuno in questo messaggio vede il colore che vuole vedere proprio per aprire, per recuperare una visione retrospettiva e una visione prospettica, capire da dove viene e dove vuole andare.

E che musica abbini alla Speranza?
Bach, ma io risponderei Bach a qualunque domanda. Anche Mozart, penso che Mozart sia l'incarnazione musicale della speranza.  

Cosa vorresti che la nostra platea si portasse a casa dopo il tuo speech?
Vorrei che le persone che ci ascolteranno, che saranno con noi il 18 di maggio, si portassero a casa un profumo. Perché il profumo ha una potenza evocativa enorme, stimola i ricordi sepolti. Il profumo è il detonatore più potente della memoria involontaria, quella proustiana. Dirò: “provate a chiudere gli occhi, riavvolgete il nastro della giornata e trovate una parola. Non necessariamente una delle parole che abbiamo pronunciato, ma una parola che richiami molte delle sensazioni che abbiamo vissuto insieme oggi, una specie di chiave per aprire il baule all'interno del quale c'è tutto quello che abbiamo visto oggi.

 

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