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Migliorare l’istruzione: la collaborazione degli stakeholder

#ValoreCondiviso

21/02/2019

Rossella Sobrero

Studiare, oltre che benefici per il singolo, comporta anche benefici sociali. Affinché si possa realizzare la piena formazione dell’individuo, però c’è bisogno di un ampio e sincero coinvolgimento di tutti i portatori di interessi. In definitiva, l’istruzione universitaria genera senza ombra di dubbio un valore condiviso a condizione però che gli stakeholder coinvolti si interfaccino adeguatamente tra di loro. Rossella Sobrero ospita nella sua rubrica Pier Giorgio Bianchi, Co-Founder @TalentsVenture.

Pier Giorgio Bianchi, Co-Founder @TalentsVenture

Vale la pena laurearsi? Cosa studiare? Dove studiare? Sono le domande che gli studenti italiani pongono più spesso a Google nei mesi primaverili ed estivi complice l’avvicinarsi del nuovo anno accademico. Nella maggior parte dei casi la scelta del percorso di laurea avviene senza adeguate informazioni ed è frequentemente dettata da fattori soggettivi come i consigli di parenti ed amici.

In un Paese in cui la percentuale di laureati tra i 30 ed i 34 anni (26,9%) è la più bassa d’Europa dopo quella della Romania, non stupisce che le imprese italiane intenzionate ad assumere personale qualificato abbiano difficoltà a coprire una posizione su tre. Lo skills gap – inglesismo utilizzato per definire la differenza tra le competenze ricercate dalle aziende e i profili professionali effettivamente disponibili sul mercato del lavoro - arriva a sfiorare il 60% per alcune tipologie di laureati. In altre parole, un’azienda che cerchi un laureato in ingegneria elettronica e dell’informazione fatica a trovarlo in oltre la metà dei casi.

Nonostante la scarsità di laureati e l’elevato skills gap presente, in un periodo storico in cui si sta affermando sempre di più all’interno dell’opinione pubblica un pericoloso messaggio per cui istruirsi non serve a nulla, è importante rinforzare il concetto che laurearsi conviene, da un punto di vista economico e sociale.

Le persone con una laurea, in media, beneficiano di un tasso di occupazione più elevato rispetto a quelli che non hanno frequentato l’università. Secondo l’Istat, nella fascia di età tra i 15 ed i 64 anni, i laureati nel 2017 hanno fatto registrare un tasso di occupazione pari al 83,2% contro il 67,1% della media nazionale. Il più elevato tasso di occupazione è soltanto un aspetto dei benefici economici. L’altra parte della medaglia viene fornita da un reddito più elevato. Una laurea assicura, in media, uno reddito medio più alto, se confrontato con quello delle persone con un titolo di studio più basso. Il reddito mediano annuale delle famiglie il cui precettore principale è un laureato è pari a circa € 38.000 contro i € 25.000 della media nazionale (+ 52%). Oltre che i benefici economici del singolo, laurearsi comporta anche dei benefici sociali, sia a livello individuale che rispetto al contributo che ogni persona laureata apporta all’intera società. È stato dimostrato, ad esempio, che laurearsi, determina il miglioramento del proprio stato di salute e di quello dei propri cari.  Secondo altri studi, un più alto livello di istruzione genera: capacità di esercitare efficacemente il proprio diritto di voto, lo sviluppo e diffusione della tecnologia e persino la riduzione dell'attività criminale.

Maggiori investimenti in istruzione universitaria mettono in moto l’ascensore sociale, consentendo ai figli di crearsi un futuro migliore di quello dei padri. Laurearsi conviene ed è opportuno ribadirlo a voce alta. Chi afferma il contrario sbaglia. Tuttavia è altrettanto vero che vale la pena intraprendere un percorso di studi universitario solamente se frutto di una scelta consapevole che crea un valore condiviso tra l’individuo e l’intera società.

In un Paese in cui l’investimento in istruzione universitaria viene demandato sempre di più all'iniziativa dei privati è necessario che ai cittadini siano fornite informazioni adeguate riguardanti i diversi corsi di laurea ed i meccanismi di finanziamento dell’istruzione universitaria a supporto delle famiglie. Informazioni adeguate e puntuali, infatti, permettono di comprendere come allocare le proprie disponibilità economiche in maniera più efficace; nuovi meccanismi di finanziamento invece avrebbero il grande pregio di consentire una maggiore condivisione del rischio “formativo”. Utilizzare delle risorse economiche per l’istruzione dei figli costituisce, infatti, un investimento alla pari di altri strumenti finanziari e, per questa ragione, è un’attività da condurre con prudenza e competenze. I rischi che caratterizzano l’investimento in istruzione potrebbero infatti concretizzarsi nell’impossibilità del soggetto che si è istruito di sviluppare delle competenze da poter offrire alla collettività.

Affinché si possa realizzare la piena formazione dell’individuo, c’è bisogno di un ampio e sincero coinvolgimento di tutti i portatori di interessi. Il primo protagonista deve essere il mondo della scuola, che ha il dovere di spiegare al giovane studente come il conseguimento di una laurea potrebbe garantirgli benefici altrimenti insperabili, investendo pochi anni della propria vita nella maturazione di competenze che siano contemporaneamente vicine alle proprie passioni e utili per l’accesso al mercato del lavoro. Allo stesso modo, le università sono chiamate a mettersi in discussione rinnovando la propria offerta formativa, in modo che questa sia allineata con i reali fabbisogni occupazionali delle imprese e, se possibile, non limitata a mera speculazione accademica priva di risvolti pratici nell’economia reale. Parallelamente alle università dunque, il terzo importante giocatore di questa partita sono le imprese, che devono essere in grado di attrarre i talenti che escono dagli atenei remunerando adeguatamente le competenze e mirando allo sviluppo umano e professionale di ogni dipendente. Ultimo attore, ma non meno importante, è lo Stato italiano che ha l’irrinunciabile dovere di vigilanza su tutti gli stakeholder menzionati, mettendo in campo le misure opportune affinché vi sia un allineamento di interessi complessivo.

In definitiva, l’istruzione universitaria genera senza ombra di dubbio un valore condiviso a condizione però che gli stakeholder coinvolti si interfacciano adeguatamente tra di loro.

Più che qualsiasi ministro o rettore, papa Francesco è stato in grado di riassumere alla perfezione questo concetto in un’unica frase. “L’educazione dovrebbe parlare il linguaggio della testa, del cuore e delle mani. Insegnare a pensare, aiutare a sentire bene e accompagnare nel fare”, ossia acquisire dei concetti, imparare ad applicarli nella vita di tutti i giorni, rendendoli concreti ed utili per la società.

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