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Nella cultura l’alternativa alla crisi

27/06/2014

L’Italia è il 5° paese esportatore di beni creativi al mondo e leader nelle esportazioni di prodotti di design per i quali è al 1° posto tra le economie del G8 e al 2° tra quelle del G20. Il Rapporto Annuale Federculture 2014, presentato nel corso dell’assemblea, l’analisi, i dati e le proposte nel commento di _Elisa Greco,_ delegato Ferpi Cultura.

di Elisa Greco
A pochi giorni dall’inizio del semestre europeo di Presidenza italiana, Federculture presenta le sue proposte perché il nostro Paese possa recuperare la leadership culturale, e quindi politica ed economica, che storicamente ha avuto in Occidente: reale complementarietà tra pubblico e privato; estensione dell’art-bonus al mecenatismo a favore di soggetti di natura privata, attualmente esclusi; sostegno ai consumi delle famiglie attraverso la detraibilità delle spese culturali; tavolo di coordinamento MiBACT-MIUR per integrare politiche formative, dell’offerta culturale e del lavoro; sostegno alla produzione e all’autonomia gestionale delle aziende della cultura.
Servono politiche incisive, dunque, a partire dalla riscoperta del valore della cultura come bene comune e servizio pubblico nel quale sia al centro il cittadino, destinatario finale di ogni intervento. . E’ questa una delle prime proposte avanzate al Governo per riavvicinare gli italiani a teatro, cinema, musica e alla conoscenza del patrimonio Come primo punto, quindi Federculture auspica sia ampliato l’accesso alla cultura e la partecipazione, con interventi fiscali a sostegno dei consumi, in particolare introducendo la detraibilità delle spese per attività culturali e formazione. Non è possibile che proprio in Italia non esistano facilitazioni fiscali per le spese in beni e servizi culturali, mentre, ad esempio, non si contano i provvedimenti a favore dell’acquisto di mobili o elettrodomestici.
Analogamente si propone una stabilizzazione nel tempo e nell’entità degli importi deducibili per il mecenatismo culturale e si sollecita l’estensione dell’art bonus anche a chi effettua erogazioni liberali a favore di soggetti con personalità giuridica di diritto privato (es. fondazioni costituite da enti pubblici) e a istituti e luoghi aperti al pubblico ma appartenenti a soggetti privati e infine a quel privato non–profit che sia impegnato in attività culturali. Ma, oltre alle risorse, è necessario migliorare il sistema dell’offerta e agire sull’efficienza amministrativa, anche abbandonando la gestione diretta di Stato ed Enti locali di beni e attività culturali favorendo forme gestionali autonome e privatistiche. Le molte aziende culturali pubblico-private che gestiscono beni e attività culturali dimostrano come sia possibile ottenere risultati di efficacia ed efficienza anche in una situazione di crisi.
In uno scenario difficile come quello descritto, infatti, c’è una parte del Paese che funziona come dimostra la ricerca Federculture, condotta per il terzo anno su un campione di realtà tra le quali Fondazione Musei Civici Venezia, Triennale di Milano, Fondazione Torino Musei, Madre Napoli, Azienda Speciale Palaexpo, Fondazione MAXXI, etc. Gli indicatori molto chiari: nel periodo 2008-2013 nonostante una riduzione media dei contributi pubblici del 32,4% e di quelli privati del 48%, le aziende sono riuscite ad incrementare le entrate proprie +36%, le presenze +16%, l’occupazione +7,4% e l’autofinanziamento che raggiunge una media del 54%. Risultati ancor più rilevanti se si considera che nel 2013 il 15% degli istituti culturali statali non ha avuto visitatori, né generato introiti, che solo il 9% dei musei italiani ha un servizio di biglietteria on line o che appena il 5% offre applicazioni per smartphone o tablet.
“Abbiamo bisogno di tornare all’economia reale – commenta Roberto Grossi, Presidente di Federculture – la cultura ha un ruolo determinante anche per la ricchezza economica e l’occupazione. Sono convinto che se affidassimo a imprese e associazioni giovanili, con obiettivi e regole chiare, i tanti musei e luoghi della cultura dello Stato e degli Enti locali praticamente chiusi e incentivassimo start up nel campo dell’industria culturale e creativa in due anni potremmo abbattere del 5% l’altissimo livello di disoccupazione giovanile”.
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