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Neuromarketing, una disciplina ancora da scoprire

14/10/2016

Il neuromarkting è una disciplina ancora poco conosciuta in Italia ma sempre di maggiore interesse per i professionisti della comunicazione. L'11 e 12 novembre a Milano si terrà Neuromarketing Coach, primo workshop non convenzionale sul tema. Ne abbiamo parlato con Lucia Carriero di Neuroset, organizzatore dell'evento.

In occasione di Neuromarketing Coach, in programma l’11 e il 12 novembre a Milano, il primo workshop non convenzionale sul neuromarketing, abbiamo intervistato Lucia Carriero di Neuroset, organizzatore dell’evento. Il workshop è dedicato ai professionisti del marketing, della pubblicità, del retail, della comunicazione e del web, che vogliano scoprire i meccanismi cognitivi e i processi inconsci che motivano e orientano le decisioni d'acquisto. Esperti provenienti dal mondo accademico e professionisti  di neuroscienze, psicologia, neuro-economia e business innovation, mostreranno le ultime ricerche scientifiche e le tecniche di neuromarketing più all'avanguardia da applicare subito al proprio business.

Per i soci Ferpi è previsto uno sconto del 30% sul prezzo ordinario. Per ulteriori informazioni: info@ferpi.it.

 




 

Che cos’è il neuromarketing?
Il neuromarketing è una disciplina piuttosto recente che ha come obiettivo quello di indagare come emozioni,  desideri, motivazioni,  ricordi e aspettative influenzino le scelte del consumatore e le sue  preferenze di consumo. Combinando  insieme  neuroscienze, economia,  psicologia,  marketing  e scienze della comunicazione, il neuromarketing studia il comportamento del consumatore, le sue reazioni istintive, subcoscienti, emozionali,  in risposta  a un certo brand o a un certo prodotto. A differenza delle  tecniche di marketing tradizionali - focalizzate sul prodotto, il neuro marketing è centrato sul Consumatore – è  Customer-Oriented.
Sappiamo, per esempio, che il cervello umano impiega meno di 1/5 di secondo (cioè meno di un battito di ciglia) per analizzare le informazioni importanti del mondo circostante (suoni, immagini, odori, etc).  Ad esempio basta 1/5 di secondo perché il cervello percepisca il design di una BMW come più “emozionante” del design di una Renault (se i gusti del consumatore sono ovviamente orientati verso il marchio tedesco...).  Questo tipo di “elaborazione”delle informazioni è subliminale, cioè avviene prima dei processi coscienti, che richiedono invece quasi un secondo per avere luogo.
Le decisioni di acquisto sono fortemente influenzate  da queste percezioni subliminali, non coscienti, e da emozioni, ricordi, sensazioni, desideri.
Tutti fattori che non possono essere indagati con le tecniche di indagine di marketing tradizionale, come ad esempio le domande dei questionari o le interviste dei focus group.

Qual è lo scenario in Italia?

In Italia questa disciplina è ancora poco conosciuta e applicata. Alcune agenzie di marketing offrono studi di neuromarketing insieme a studi qualitativi tradizionali, ma sono ancora poche. Molta della difficoltà  nasce dal fatto che occorre una formazione specialistica per mettere in piedi uno studio di neuromarketing e per interpretare i dati complessi delle misurazioni biometriche. Un background in neuroscienze sarebbe l’optimum. Tuttavia, per coloro che vogliano cimentarsi in questa disciplina senza avere una laurea attinente, al momento, non esistono corsi di formazione specialistica. Se a questo si aggiunge la scarsità di ricerche pubblicate sull’argomento, e la diffusione di materiale spesso solo “teorico”o divulgativo  (a volte fuorviante) in circolazione, si comprende perché questa disciplina faccia ancora fatica a penetrare nel mercato italiano, nonostante molti professionisti del settore oggi intuiscano le potenzialità del neuromarketing.

Come è nata l’idea di un evento in Italia sul neuromarketing?
Volevamo proporre un workshop che facesse conoscere il neuro marketing dall’interno, da dietro le quinte... non da una prospettiva di convegno tradizionale tipo “docente-partecipanti”, ma da un prospettiva “interattiva” in cui gli stessi partecipanti proponessero case history e progetti.
Per questo abbiamo pensato di invitare sia relatori provenienti dal mondo accademico che esperti di business innovation che trasmettessero questa passione del “fare” neuromarketing.
Come dicevo l’idea di questo evento è quella di mettere in grado, per la prima volta,  i partecipanti di creare, sperimentare, modellare le strategie  più efficaci per ottimizzare il proprio progetto di marketing.
Imparando dal vivo come mettere in piedi  uno studio, applicare gli strumenti biometrici e interpretare i risultati.

In che modo il neuromarketing può essere utile ad un professionista della comunicazione?
Il neuromarketing può aiutare a ottimizzare il messaggio comunicativo in modo che coinvolga il destinatario a un livello più profondo, subliminale.
Viviamo in un’era in cui non basta più informare il consumatore, per coinvolgerlo diventa necessario “raccontare”. Secondo me,  neuro marketing e comunicazione sono discipline connesse. Mi viene in mente l’importanza dello storytelling nella comunicazione di un brand, per esempio.
Si immagini il consumatore di fronte a uno scaffale con centinaia di etichette di prodotti. Sicuramente ciò che lo colpirà non saranno solo i dettagli qualitativi, i grammi, la scadenza, il sapore, la forma della confezione, ma il particolare straordinario ed emozionante della storia che ruota intorno al brand che andrà a scegliere.
Costruire una storia unica intorno a un brand, raccontarlo con parole, immagini, suoni, storie che lo rendano unico, permette di fare la differenza tra un marchio nella media e un marchio competitivo.

Ci fai un esempio della cosa più innovativa che il neuromarketing è in grado di fare?
Recentemente abbiamo lavorato in partnership con un’agenzia di marketing per cercare di capire come impostare lo story plot di uno spot pubblicitario. Si trattava di una nota marca automobilistica. Erano stati condotti numerosi focus group e l’agenzia in questione si trovava in un’impasse.  I consumatori avevano identificato alcuni attributi portanti del marchio che andavano comunicati (es. vivacità, forza, dinamismo, ribellione, innovazione, potenza, etc.) ma non era chiaro quali di questi attributi inserire nello spot, in modo da richiamare automaticamente alla mente il brand - quale di questi attributi comunicasse, in modo distintivo e univoco, il brand message. Abbiamo condotto uno studio con 30 volontari, usando l’elettroencefalogramma e la risposta galvanica. E’ venuto fuori che alcuni attributi venivano percepiti come salienti e venivano associati al brand in meno di 100 millesimi di secondo. Prima che i volontari ne fossero consapevoli, alcune aree visive e frontali del loro cervello, si attivavano in risposta a specifiche parole, quando messe in relazione al brand. Ecco, credo che questa sia una gran cosa, riuscire ad andare oltre le opinioni e scoprire reazioni specifiche del cervello a certi stimoli. E’ quello che il neuromarketing consente di fare.





Lucia Carriero
è direttore scientifico e responsabile ricerca & sviluppo in Neuroset. Ricercatrice in neuroscienze ed esperta di comportamento del consumatore, ha un dottorato in neuroscienze alla SISSA-ISAS, la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste. Ha lavorato come ricercatore in alcune delle istituzioni europee più all’avanguardia, come il Max Planck Institute di Monaco di Baviera, e il CNRs di Lyon. Hauna esperienza decennale nel campo del neuromarketing e ha pubblicato diversi lavori sul modo in cui il cervello prende decisioni in situazioni conflittuali (ad es. scelta tra due prodotti di pari valore ma di marca diversa). Si occupa di comportamento del consumatore soprattutto attraverso tecniche come la risonanza magnetica funzionale (fMRI), l’elettroencefalografia (EEG), l’eyetracking, e altre misurazioni fisiologiche. Recentemente si è occupata di simulazione 3D in situazioni di acquisto virtuale e di studi di decision-making in mercati finanziari rischiosi.
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