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Nuovi modelli per comunicare la sostenibilità

11/04/2013

In occasione della presentazione dell’Indice Poliedro, nato per offrire un parametro univoco di valutazione della sostenibilità dei prodotti alimentari, l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo ha cercato di individuare nuovi paradigmi che consentissero l’inserimento del concetto di sostenibilità come racconta _Emanuela Taverna_ per la rubrica in collaborazione con _Green Business._

di Emanuela Taverna
Quali modelli ha a disposizione un’azienda alimentare che vuole comunicare la sostenibilità? È quanto ha cercato di indagare l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo con l’occasione della presentazione dell’ Indice Poliedro (Pollenzo Index Environmental and Economics Design), nato per offrire un parametro univoco di valutazione della sostenibilità dei prodotti alimentari. «La comunicazione delle aziende del food si è finora focalizzata, per così dire, sul ‘modello qualità’ – spiega Giacomo Festi, studioso dell’Università di Pollenzo –ovvero ha cercato di trasmettere i concetti di gusto, freschezza, salubrità, valori nutrizionali, etc. Ebbene, la comparsa del concetto di sostenibilità va a mettere sotto pressione questo modello, rendendo necessari nuovi paradigmi».
Quattro strade per trasmettere il gusto
Per semplificare, il modello qualità finora sfruttato dall’advertising alimentare prevede quattro modalità. La prima ha come messaggio principale il rispetto di severi standard produttivi (qualità regolata), per esempio vantando le certificazioni ottenute dall’azienda. La seconda modalità s’incentra sulla tradizione, ovvero sulla capacità sedimentata nel tempo di seguire un antico disciplinare di produzione (qualità prassica). La terza accezione (qualità progettata) riguarda la capacità di promuovere l’innovazione (di prodotto, di gusto, di processo) e quindi di introdurre parametri valutativi inediti. Infine, nell’ultimo caso (qualità singolarizzata) figura l’eccellenza, come capacità del tutto singolare di realizzare un unicum, un prodotto fuori dal comune.

Come si trasformano questi modelli quando l’azienda alimentare sposta il focus dalla comunicazione di qualità alla sostenibilità? «Innanzitutto ci si potrebbe chiedere se e come l’etica sia utilizzabile in chiave promozionale – premette Festi –. La comunicazione di sostenibilità si caratterizza più che altro come un invito dell’azienda a monitorare gli effetti della sua produzione, come volontà dell’impresa di rendere più trasparente la propria azione. Il cuore della sostenibilità è la relazione con l’altro: i consumatori, le generazioni future, l’ambiente. Il coinvolgimento degli stakeholder introduce un’importante novità a livello comunicativo: scardina, infatti, la tradizionale visione ‘prometeica’ dell’imprenditore, molto diffusa nella retorica d’impresa, per un modello più paritario e partecipativo».
Messaggi di sostenibilità: quali problematiche
Comunicare la CSR comporta tre problematiche: la sostenibilità appartiene più al processo che al prodotto, e come tale implica concetti più astratti e più difficili da rappresentare e da far verificare ai consumatori. «Anche il tradizionale modello qualità non è del tutto estraneo a queste problematiche – spiega Festi –. Si pensi, per esempio, alla difficoltà di traduzione visiva del gusto o di rendere percepibili i valori nutrizionali».
Quali sono le strategie finora adottate dalle aziende alimentari? «Abbiamo identificato tre modelli: certificativo, dell’impegno e della partecipazione – illustra Festi –. Possiamo considerare il primo caso un prolungamento del modello di qualità certificata. Il concetto di qualità ambientale, infatti, ha rappresentato il primo modo di far entrare i temi del sostenibile nel mondo della comunicazione».
Il secondo modello, denominato dell’impegno, si differenzia fortemente dalla comunicazione di qualità. «Per l’azienda parlare di qualità vuol dire guardare al passato, al frutto del proprio lavoro – precisa Festi –, mentre fare riferimento all’impegno significa proiettarsi nel futuro: lo spettatore è nel mezzo di una narrazione aperta, conosce gli obiettivi aziendali e le tappe necessarie per raggiungerli e può esercitare delle forme di monitoraggio per verificare il loro rispetto». Due esempi di questa comunicazione sono Barilla e Lavazza.
Infine, il terzo modello è il meno praticato dalle aziende alimentari, e resta una sfida aperta. Si tratta del modello della partecipazione, tipicamente utilizzato dalle ong e dall’associazionismo. Il consumatore è chiamato esplicitamente a partecipare al cambiamento, ai valori che l’azienda sta attuando. L’azienda si pone nei confronti del proprio utente in posizione di perfetta parità.
Un esempio (non nell’ambito alimentare) può essere la campagna virale di Toyota. «È interessante notare come queste opzioni comunicative possono ora generare nuovi percorsi di ricerca – conclude Festi – che accanto alle forme tradizionali di advertisment possono trovare terreno molto fertile nelle nuove piattaforme mediatiche.
Fonte: Green Business
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