Alex Dell'Era
Riflessioni dal convegno di Taranto sul ruolo dell'Health-Tech negli ecosistemi territoriali
C'è una scena che mi porto dietro da mesi. Eravamo in un laboratorio di design thinking su intelligenza artificiale in radiodiagnostica, che vedeva la partecipazione attiva di professionisti sanitari, tecnici, ricercatori, specialisti, manager e non solo. A un certo punto un professionista della salute si è alzato visibilmente irritato, e ha detto una cosa che mi ha colpito: "Voi pensate solo alla produttività! Volete che la tecnologia serva solo a fare numeri, ad aumentare i pazienti processati, a ridurre i tempi. Ma così aumenta solo il carico di lavoro per noi".
Ce l'aveva con la sua struttura probabilmente, ma anche con il modo delle industries, che dal suo punto di vista ammiccano alle amministrazioni, fomentando la logica della produttività fine al profitto.
Per me quella frase non era un semplice j’accuse, ma l'ho interpretata come un grido d'aiuto. Potrò sbagliarmi, ma credo che in realtà il professionista volesse dire: "Non ho bisogno della tecnologia solo per performare, ma ho bisogno di più tempo, per me e per la mia salute mentale, e soprattutto per i miei pazienti."
È chiaro che il problema non è la tecnologia, quella non la si ferma, ma come come la pensiamo. Ed ecco che ci accorgiamo che il MedTech non è neutrale e non si parla più dello “strumento”. Con cloud, blockchain, digital twin, realtà virtuale e soprattutto intelligenza artificiale, siamo andati oltre. Parliamo di soluzioni che si integrano, che sostengono decisioni (giuste e sbagliate per carità) e soprattutto che cambiano il modo stesso di lavorare.
E come la storia dell’uomo insegna, ogni innovazione porta con sé conseguenze che possono essere cliniche, sociali, organizzative, ma soprattutto dovrebbe portare responsabilità. E allora non basta più chiedersi "Funziona? Risolve un problema?" ma invece quello che dobbiamo domandarci diventa "Chi include? Chi rischia di restare fuori? Quali effetti collaterali stiamo creando?"
Le persone al centro (davvero, non come slogan)
Quando dico "persone" intendo tutti, sia professionisti che pazienti. Per i medici, ingegneri, infermieri, tecnici la tecnologia dovrebbe essere un alleato silenzioso. Quell’alleato che riduce la burocrazia, accelera le diagnosi, evita errori ma soprattutto che restituisce tempo a quella relazione asimmetrica con il paziente, che si basa sulla fiducia. Una fiducia che si presenta con una logica distinta, ma pur sempre bidirezionale.
C’è infatti un passaggio che spesso sottovalutiamo, ovvero che stiamo uscendo velocissimamente dalla medicina paternalistica, quella del "Dottore, faccia lei". Infatti, i pazienti oggi sono più informati, e ahinoi a causa dello screditamento dell’evidenza scientifica e ad un utilizzo spasmodico e approssimativo dell’IA anche più disinformati, ma comunque curiosi e attivi. Il paziente vuole capire, partecipare, decidere e questo è anche la conseguenza della variazione del rapporto che diventa contrattuale (quello del consenso informato). La relazione paziente-medico non è più a senso unico, ma un dialogo, e per dialogare serve calma e tempo. Ecco perché la tecnologia deve facilitare questa relazione, anche per prevenire.
La vera frontiera? Forse la prevenzione.
Curare meglio è importante ma intercettare prima diventa decisivo. Un esempio concreto lato Medtech è il supporto alle campagne di prevenzione ed iniziative di screening gratuiti sul territorio, in collaborazione con associazioni di volontariato, ospedali, istituzioni e comunità locali. In quelle giornate non si tratta infatti solo di supporto tecnologico ma l’innesto dello stesso con ascolto, consapevolezza e quindi relazioni. Attenzione non è retorica, ma è quello che succede quando la tecnologia si inserisce in un contesto relazionale vero. Questo è MedTech orientato correttamente non solo alla persona ma al bene comune, al territorio.
Quando parliamo di territori, parliamo di reti, ovvero ospedali, università, istituzioni, associazioni pazienti, volontariato. Ecosistemi che si rafforzano intorno alle tecnologie. E qui entra in gioco la Corporate Social Responsibility e le migliori pratiche ESG, ma non come operazioni di facciata, ma come parte integrante della mission e purpose del MedTech. Un progetto di screening con un'associazione locale, come un evento di sensibilizzazione, non sono iniziative collaterali ma diventano atti di responsabilità collettiva, che generano valore condiviso per l'intera comunità. Così il MedTech non porta solo innovazione tecnologica, ma contribuisce a costruire infrastrutture sociali, e soprattutto genera fiducia.
Il ruolo (decisivo) della comunicazione e il Paradigma Umanologico
Ed ecco qui, che ritrova la sua centralità ciò che fino a qualche tempo fa veniva considerato un atto accessorio, qualcosa che viene dopo, un elemento di contorno… la comunicazione. Anche storytelling e advocacy hanno un ruolo chiave. Da un lato dare visibilità alle realtà del terzo settore che operano sul territorio, e dall'altro alimentare la cultura della prevenzione incrementando consapevolezza e adesione. Così la diagnostica per immagini smette di essere un atto tecnico isolato, e diventa un abilitatore di percorso di cura, parte di una narrazione più ampia, che parla di salute, comunità, futuro. Per orientarci in questa direzione, e fare in modo che non si tratti solo di tecnologia e performances, riprendendo al challenge riportato all’inizio e quindi in risposta anche a quel professionista, credo serva un nuovo paradigma. L'ho chiamato "umanologico", non perché la lingua italiana necessitasse dell’ n-esimo neologismo, ma perché sentivo la necessità di descrivere un paradigma più completo che potesse esprimere la sintesi tra umano e tecnologico, e che proponesse un framework che andasse oltre l’umanesimo digitale.
E allora, ogni volta che parliamo di innovazione in sanità, dovremmo porci cinque domande semplici, ma decisive come: È etico? È empatico? È chiaro? È sostenibile? Crea valore condiviso?
Se una tecnologia supera queste cinque domande, allora possiamo dire che è innovazione al servizio della vita.
Quello che ci viene chiesto è di andare oltre la tecnologia, perché oltre la tecnologia, c'è la responsabilità di trasformare innovazione in fiducia, fiducia in cura, e cura in futuro. Questa è la risposta che dobbiamo dare, e non solo a quel professionista un po’ arrabbiato, ma a tutti noi.
Articolo tratto dall'intervento al convegno "Il ruolo dell'Health-Tech e dell'approccio human-centric negli ecosistemi dell'innovazione territoriale", Università degli Studi di Bari Aldo Moro – Taranto, 24 ottobre 2025.