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Papa Francesco, habemus comunicatorem

17/04/2013

Un oratore di altissimo livello, un comunicatore nato. È _Jorge Mario Bergoglio,_ il nuovo papa che, attraverso la semplicità delle parole e dei gesti, è in grado di toccare le corde più profonde dell’animo. A prescindere dal credo religioso. L’analisi di _Flavia Trupia._

di Flavia Trupia
Il “papa buonasera” è un oratore di altissimo livello: raffinato, preciso, diretto, alla portata di tutti. Un comunicatore nato. In un mese di pontificato, le sue parole hanno tracciato una linea precisa. Hanno avuto la capacità di mordere la realtà, mettendo a nudo sentimenti, paure e debolezze. Anche personali.
Sì, perché Jorge Mario Bergoglio parte da se stesso: dichiara la sua fallibilità di uomo per acquisire autorevolezza tra gli uomini; esprime i suoi timori per confortare chi ne ha (tutti noi); esplicita le mancanze della Chiesa per renderla più influente. E’ un processo argomentativo coraggioso e vincente, dove la debolezza diventa esempio, la manchevolezza punto di forza, il meno più.
Nelle parole di Papa Francesco la contraddizione, invece di fiaccare il ragionamento, lo rinvigorisce; invece di sminuire il personaggio lo fa crescere nella considerazione del mondo. Come per magia, la massima autorità spirituale del cattolicesimo che afferma “Non ho tutte le risposte e neppure tutte le domande” ci conforta, invece di gettarci nel panico. Ci costringe ad accettare i nostri limiti – ecco la magia – e a renderci conto che non sono una nostra misera realtà, ma che li condividiamo con personaggi che ricoprono un ruolo molto più importante di quello che noi riusciremo mai a raggiungere.
E’ il paradosso la figura retorica che meglio traduce nella lingua questo meccanismo. Una figura apparentemente semplice, ma tutt’altro che banale perché ha il potere di rivelare la verità trascinandoci in un ragionamento contrario alla doxa, all’opinione comune. E’ un paradosso rivelatore la definizione di Francesco del potere:
“Oggi […] celebriamo l’inizio del ministero del nuovo vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere. […] Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso nella Croce; deve guardare al servizio umile, concreto ricco di fede, di San Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli.”
Ed è sempre un paradosso la definizione della tenerezza:
“(…) tenerezza che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!” (Omelia, Piazza San Pietro, 19 marzo 2013).
Un paradosso è la raccomandazione di avere cura di se stessi, come presupposto per riuscire a dare agli altri e a custodire il mondo che ci circonda. Il Papa ci ricorda che sentimenti come l’odio, l’invidia, la superbia sono tossici per chi li prova, prima ancora che per chi ne è oggetto:
“Ma per ‘custodire’ dobbiamo avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono!” (Omelia, Piazza San Pietro, 19 marzo 2013).
E’ un messaggio di civiltà, oltre a essere un messaggio spirituale. Vivere sarebbe estremamente più semplice (e divertente) se tutti lo ricordassimo nella quotidianità: negli uffici o in famiglia o nella coppia, troppo spesso brodi primordiali di malumori, rancori o anche di vera e propria perfidia. Francesco invita a puntare alto: “ad avere sete di assoluto” (Incontro con i rappresentanti delle Chiese e delle comunità ecclesiali, e di altre religioni, Sala Clementina, 20 marzo 2013), ad avere misericordia per rendere il mondo semplicemente “meno freddo e più giusto” (Piazza San Pietro, Angelus, 17 marzo 2013).
E, infine, la Chiesa, considerata a rischio di “autismo”. Nelle riunioni pre-conclave il futuro Papa aveva ripetuto: “A una Chiesa autoreferenziale succede lo stesso che a una persona autoreferenziale: diventa paranoica, autistica.”
Un pensiero che Papa Francesco ha tradotto in un’esortazione ai sacerdoti a uscire da se stessi e a sporcarsi con il mondo, a “odorare di pecora”, anche quando le richieste che ricevono appaiono “inopportune, materiali o banali”.
“Questo io vi chiedo: siate pastori con l’odore delle pecore, pastori in mezzo al proprio gregge, e pescatori di uomini.”
Tutti, cattolici o non cattolici, dovremmo abbandonare la paura dell’odore di pecora. Dimenticare, almeno per un po’, quel deodorante che ci allontana dal mondo e dai suoi odori. Ma, al contempo, dai suoi sapori e colori.
E ora “buon pranzo”, come dice Francesco.
Fonte: Huffington Post
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