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Papini: perché lo Stato non sa comunicare?

16/04/2015

Fabio Famoso

“Finito il tempo dello Stato-nazione come unità di misura dei processi comunicativi, un nuovo ruolo attende oggi la comunicazione pubblica. Un ruolo che spoglia di responsabilità le nostre istituzioni per orientarsi al raccordo con una società civile mediatica, globale e autonoma nelle rappresentazioni”. Lo spiega Alessandro Papini a Fabio Famoso in un’intervista per Ferpi sui temi del suo nuovo libro.



Tutti oggi siamo digitali e organizziamo la nostra vita permeati dai nuovi media. Come mai le nostre istituzioni non riescono ancora ad adeguare i propri criteri comunicativi?




Il cambiamento non è quasi mai il portato di processi istituzionali ma s’innesta nelle società senza che gli apparati tradizionali se ne accorgano. Mentre in Italia si studiavano i piani per la digitalizzazione, le società civili di tutto il mondo, grazie ad un uso relazionale delle tecnologie, costruivano nuovi ambienti di comunicazione capaci di incrociare i bisogni pubblici degli individui.

Finita l’epoca delle ideologie collettive, i nuovi media hanno riorientato la possibilità per il cittadino di accedere allo spazio pubblico in modo autonomo e disintermediato. Il ritardo dei nostri apparati statali risponde in prima istanza alla natura stessa del potere burocratico; in seconda istanza ad una cultura pubblica ancorata a schemi novecenteschi completamente inadeguati alle potenzialità della meccanica comunicativa della rete.

Eppure negli ultimi 15 anni si è tentato in qualche modo di fornire risposte a questo ritardo. Dalla legge 150 sulla comunicazione pubblica ai codici delle amministrazioni digitali. Alla richiesta di maggiore comunicazione, partecipazione e inclusione proveniente dalla società civile si è tentato di dare risposta per via legislativa, puntando a legittimare la funzione tradizionale della comunicazione. Senza però comprendere che la natura del cambiamento non investiva i processi comunicativi ma l’idea stessa di Stato e il ruolo delle istituzioni pubbliche nella propria funzione di raccordo con le società e le comunità. Come sostiene Bauman “è finito il tempo in cui i confini delle società coincidevano con quelli degli Stati”.

E questo cosa comporta?

Comporta che l’utilizzo dei modello tradizionale di comunicazione pubblica ancorato all’idea classica dello Stato-nazione non è più adeguato alle caratteristiche tecno-relazionali dei processi post-comunicativi generati dai nuovi media. Nell’era della Post-comunicazione non sono le istituzioni a definire il perimetro dell’immagine pubblica di un Paese quanto piuttosto l’insieme delle interazioni digitali generate nello spazio pubblico dai soggetti attivi.

Mentre cioè la logica tradizionale puntava al “controllo” della sovranità comunicativa da parte dei sistemi pubblici, oggi si tratta di far emergere le connessioni comunicative e lasciarle funzionare nella loro molteplicità. Non serve rincorrere la fonte della rappresentazione. E’ invece più utile mostrare come i produttori di comunicazione poggino gli uni sugli altri e rinviino gli uni agli altri sempre producendo rappresentazione pubblica del se, individuale e collettivo.

Qual è quindi il nuovo ruolo della comunicazione pubblica?

La nuova comunicazione pubblica deve far propria la consapevolezza dell’impossibilità di recuperare il governo della rappresentazione pubblica e riorientare il baricentro del rapporto istituzioni-cittadino in un’ottica post-comunicativa, focalizzato essenzialmente sul principio della “visibilità”. Che significa “rendersi visibile” rispetto ai bisogni di trasparenza, partecipazione, comunicazione e accessibilità del cittadino; e al contempo “rendere visibile” e valorizzare i molteplici e autonomi scenari di promozione dell’immagine del Paese espressione dalla società.




Post-Comunicazione
Istituzioni, società e immagine pubblica nell’età delle reti
A. Papini
Guerini e Associati, 2014
pp. 202, € 18,00

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