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Patti di Roma. Questo non è un Paese per comunicatori

31/03/2017

Alfredo Accatino, creatore di eventi

Lo scorso weekend si è tenuto a Roma uno dei più importanti eventi istituzionali europei del decennio. Ben 27 Capi di Stato riuniti nella Capitale. Non è stata creata nessuna photo opportunity capace di essere ripresa da media internazionali comunicando il legame tra Roma e l’Europa, una frase guida, un concetto. L’evento ha lasciato zero legacy alla capitale, non si è cercato/pensato di dare vita a nessun gesto simbolico, a un Landmark. Un’altra occasione persa. La riflessione di Alfredo Accatino.

C’è una caratteristica che contraddistingue le Celebrazioni: si sa perfettamente quando arrivano. Al secondo. Per questo l’organizzazione delle celebrazioni per i 60 anni dei Patti di Roma è scivolata su errore ancora più grande.

Come sapete lo scorso weekend si è, infatti, tenuto a Roma uno dei più importanti eventi istituzionali europei del decennio. 27 Capi di Stato. Non succedeva in Italia da anni, e non sappiamo quando potrà ripetersi. Perché l’Europa era nata qui e potevamo dirlo e ricordarlo al mondo, invece di essere apostrofati come alcolisti e puttanieri.

I media, disperati, hanno pubblicato solo foto generiche su Roma (una bandierina davanti al Colosseo, i piccioni del Campidoglio) e quella di gruppo, come a scuola. Non avevano altro.

Nonostante il fatto che si potesse pianificare il tutto con ampio anticipo, prevedere, utilizzare l’appuntamento a fini strategici, per l’Italia, per Roma e per l’Europa, non è stata creata nessuna photo opportunity capace di essere ripresa da media internazionali comunicando il legame tra Roma e l’Europa, una frase guida, un concetto. L’evento ha lasciato zero legacy alla capitale, non si è cercato/pensato di dare vita a nessun gesto simbolico, a un Landmark.

La città, esclusa, ha visto solo polizia e strade chiuse, con vie deserte come neanche a ferragosto.

Non è stato creato nulla di valenza culturale o emozionale, che coinvolgesse la gente comune e le scuole, che fungesse come elemento di attrazione e aggregazione. Anche per dare un senso a questa appartenenza all'Europa, che appare sempre più lontana e inspiegabile.

E’ stata, insomma, una grande, ennesima, occasione persa. E tutto svanirà, come lacrime nella pioggia.

Ecco il mio lavoro di creatore di eventi, come quello di tanti comunicatori come voi, è “non fare” tutto questo. Ma costruire eventi e strumenti di relazione capaci, ogni volta, di lasciare una memoria, di trasmettere messaggi, valori, emozioni, di spingere alla condivisione. E’ il mio lavoro e quello di tanti altri professionisti, che spesso realizzano all’estero, per nazioni straniere, quello che in Italia non ci è concesso fare.

Poteri che vennero allocati anni fa, in maniera arbitraria alla Protezione Civile, con danni che sappiamo, perché già allora non si conosceva la capacità e la qualità produttiva del nostro sistema di industria degli eventi. E non si è capace di programmare nel tempo come avviene in tutte le nazioni europee ed extraeuropee.

Questo sfogo, nato con un post FB, in poche ore è cresciuto, portando a centinaia di like e a centinaia di condivisioni, e poi a riprese sui media. Segno evidente di un malessere crescente, che non ha dignità di ascolto.

Sarebbe stato importante creare qualcosa che rimanesse nella memoria, che ci toccasse da vicino, che lasciasse una traccia del proprio passaggio.

Tutto questo non si fa, perché né il Presidenza del Consiglio, né il Ministro degli Esteri o uno degni altri ministeri coinvolti, né il Sindaco e i Comuni lo chiedono, lo pianificano, lo stimolano. Lo capiscono.

Perché in Italia non esiste la cultura degli eventi e della comunicazione, e non esiste chi sa gestire i grandi appuntamenti.

E tutte le professionalità che nel tempo hanno potuto confrontarsi su questi temi (Giubileo 2000, Torino 2006, Expo 2015), finito l’evento, vengono disperse.

Avremmo potuto comunicare in tutta Europa, valorizzare Roma, toccare temi importanti, lasciare un’eredità, seminare, ma nulla è stato fatto.

Ecco, questo è il mio lavoro. E quello di tanti professionisti come me che fanno questo lavoro nel mondo nella industria della live communication, che oggi si sono anche riuniti in un nascente Club degli Eventi. Perché comunicare bene non è un costo, ma un investimento che porta indietro molto più di quanto richieda.

Perché anche simboli, gesti e segni hanno valore. E ne abbiamo bisogno per la nostra identità. Ve lo volevo dire. Ve lo dovevo dire.

 

 
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