Ferpi > News > Pompei al cinema ha fatto boom

Pompei al cinema ha fatto boom

14/02/2014

In tempi di mortificazione dell’arte italiana, una notizia inaspettata: un documentario su Pompei è riuscito a riempire i cinema di Roma. Colpisce il fatto che a realizzarlo sia stato il British Museum. Ma allora gli italiani non capiscono l’arte o sbagliano a comunicarla?

di Federico Fazzuoli e Elisa Greco
Quanto è avvenuto nei giorni scorsi a Roma al cinema Barberini e in altre sale è un fatto di rilevanza fondamentale per un paese come l’Italia che da sempre si riempie la bocca di quanto sia un paese bello, ricco di beni ambientali, artistici e culturali e di quanto siano creativi i suoi abitanti: dalla moda all’arte, dalla musica alla cucina. Sono stereotipi? C’è un fondo di verità? Certo, nascere e vedere i centri storici delle nostre città, i paesi d’arte, le antiche ville in campagna, i castelli sulle montagne ci dà sicuramente un vantaggio rispetto a molti altri che non vedono da subito queste armonie e bellezze. E se hanno ragione i ricercatori che ci dicono che nel nostro DNA resta traccia anche di questa “esperienza ed attitudine” dei nostri antenati allora forse possiamo dire che c’è un fondo di verità. Questa attitudine però per fruttificare ha bisogno di altre componenti che non abbiamo.
A Roma al Barberini e in altre sale è stato programmato un documentario del British Museum sulla mostra che proprio il British ha realizzato a Londra su Pompei. Ebbene le persone sono andate a vederlo, si è sparsa la voce che era bello e interessante ed i cinema si sono affollati. I giornali hanno sottolineato questa novità: la gente va al cinema per vedere un documentario di arte che incassa come un film, anzi addirittura ne supera molti (ha incassato 150.000 euro con 15.000 spettatori classificandosi al 29° posto). Altra gente allora si è aggiunta, gli esercenti hanno prolungato la programmazione facendo proiezioni anche a mezzogiorno e questo documentario è diventato un fatto mediatico. Ora bisogna dire che è ben fatto, le cose raccontate sono scientificamente giuste, ma non è un qualcosa di eccezionale, di mai visto prima. Documentari così la televisione italiana ne ha fatti tanti. E’ esclusivamente una visita alla mostra con esperti che rispondono alle domande di due intervistatori. La domanda allora è: perché questo ha fatto notizia e i nostri no? Perché è firmato British Museum? Perché a noi piace tanto quello che fanno gli altri? Forse, ma ci fa apparire evidente che ci sono cose in cui siamo deficitari: il marketing culturale per esempio.
Gli inglesi, dovendo promuovere la loro mostra ed il loro marchio, hanno usato tra gli strumenti a disposizione, anche il documentario al cinema. E lo hanno fatto con una forza ed una convinzione che noi non abbiamo: loro credono davvero che la cultura sia una cosa importante. Noi come autori di Heritage, un viaggio nel patrimonio dell’Umanità, la trasmissione di Raiuno andata in onda per vari anni nelle seconde serate estive, abbiamo organizzato lo scorso gennaio un convegno proprio su queste tematiche. Tra i relatori vi ha partecipato anche il vicepresidente della BBC, Graham Ellis che, nel suo intervento, ha sottolineato proprio il valore delle partnership tra istituzioni culturali e mass-media che" fanno sì che l’eredità tramandata dai beni artistici esca dall’ombra e incontri l’interesse popolare”. Preannunciando, inoltre, la realizzazione del documentario della mostra su Pompei e della sua distribuzione multicanale, ha citato il caso eclatante della trasmissione radiofonica “100 Objects-History of the World”, espressione della collaborazione tra BBC e British Museum, che, "grazie anche all’intervento del web, ha mobilitato oltre 3 milioni di ascoltatori e 30 milioni di download”. Ora Sky ha messo in piedi Sky arte, la Rai sta ristrutturando Rai 5. Qualcosa si muove. Ma finché non crederemo davvero tutti che la cultura è la ricchezza di un popolo dovremo aspettarci sempre che siano gli altri a raccontare a noi ed al mondo quante cose belle e importanti hanno realizzato i nostri antenati. E noi, invece, incapaci di maneggiare questo grande patrimonio, finiamo con il creare un fenomeno andando a vedere nei nostri cinema un documentario su una mostra realizzata da altri in un museo lontano, pur avendo in casa l’originale. Abbiamo la realtà ma scegliamo la fiction.
Dobbiamo riconoscere che in questi giorni, grazie al British Museum abbiamo letto e parlato di Pompei in maniera attrattiva. Certo sempre nella cerchia ristretta di una élite culturale, senza che le “masse” siano state sfiorate, ma qualcosa di positivo è successo. I giornali fanno parte degli strumenti della promozione ed il British Museum con una operazione di comunicazione e di marketing e’ riuscito a coinvolgerli. Cosa che dobbiamo imparare a fare anche noi, anzi dovremmo fare di più: coinvolgere anche le “masse” oltre alle élite, perché l’arte non resti appannaggio di pochi eletti ma tutti i cittadini possano vivere il piacere dell’arte e del sapere. E quest’opera di coinvolgimento possono realizzarla soltanto la stampa, la scuola e la tv generalista.
(*) autori della trasmissione televisiva “Heritage, un viaggio nel patrimonio dell’Umanità”

Pubblicato sul domenicale de Il Sole 24 Ore del 12 gennaio 2012 – pagina Cultura e Sviluppo
Eventi