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Prandi (Edison): sui social media bisogna metterci la faccia

22/02/2013

I manager della comunicazione italiani credono (e usano) ancora poco i social network. Diversa l’esperienza di _Andrea Prandi_ di Edison e past president di Ferpi che è stato tra i primi ad utilizzare il web 2.0 con un profilo personale a nome dell’azienda “mettendoci la faccia”, come emerge da una recente ricerca Lundquist.

Solo il 5% dei top manager delle 100 più importanti aziende italiane usa Twitter, circa la metà sono su LinkedIn e soltanto sette hanno un blog. Il dato emerge da una ricerca di Lundquist che ha coinvolto 513 professionisti di oltre 100 organizzazioni. Tra di essi si fa notare Andrea Prandi, direttore comunicazione di Edison e past president Ferpi che, nella speciale classifica, ha raggiunto il primo posto nella social media influence ottenendo il Klout più alto (55 su 100, nessuno meglio di lui tra i manager italiani). “Il sapiente utilizzo dei social media da parte di Edison – afferma Prandi, riferendosi ad un recente episodio – è riuscito ad arginare in modo tempestivo un problema d’immagine legato ad una macchia avvistata a fine gennaio sull’Adriatico (una macchia che nonostante i falsi allarmi non era legata all’inquinamento da idrocarburi)”.

L’esperienza degli Stati Uniti, presa come punto di riferimento nell’analisi di Lundquist, mostra come un uso capace del web 2.0 possa essere una risorsa fondamentale per promuovere e salvaguardare la reputazione aziendale ma in Italia aziende e manager guardano ancora con sospetto ai social network nonostante il ruolo strategico che possono rivestire nella costruzione di un’immagine solida e affidabile. Se e come sono presenti i top manager sui social media?

Social e web 2.0? No grazie
Il web 2.0 è un territorio ancora poco conosciuto per 513 top manager italiani tra AD, CFO e presidenti e la prima linea che si occupa di comunicazione (stampa, IR, CSR e HR): LinkedIn non è utilizzato da più del 50% del campione mentre pochi si affacciano su Twitter e pochissimi scrivono un blog. Buona parte degli account social media, inoltre, risultano incompleti o poco aggiornati. Facebook non è stato considerato perché al di fuori dalla sfera prettamente professionale e gli account non sono accessibili né verificabili. A rivelare i dati la quinta parte della ricerca, Social Media Awards 2012 di Lundquist. Dall’esperienza di chi è già attivo sui social network emergono esempi di buone prassi ma anche errori da evitare. Il 5% è attivo su Twitter: più frequente vengono mischiati contenuti personali e professionali o associati all’azienda. Solo tre persone usano questo social network per scopi prettamente professionali. Esistono 25 account attivi, 9 inattivi da almeno due mesi e 4 mai utilizzati.

Le società con il maggiore numero di manager presenti su Twitter sono Edison (4 profili) e RCS MediaGroup (3).

Su LinkedIn è presente quasi la metà dei manager, ma non tutti sono così assidui nell’aggiornare le informazioni che li riguardano: 31 (il 12,7% di chi ha un profilo) hanno un profilo con la propria posizione non aggiornata, il che rende difficile una corretta identificazione. Curioso notare il caso dei direttori di risorse umane: il 46% non è presente sul più grande social network di reclutamento. Quasi il 40% dei profili LinkedIn supera i 200 contatti e più della metà aderisce a gruppi più o meno connessi con la propria attività professionale, questo è indice di maggiore partecipazione alle attività della community è incoraggiante aver trovato sette esempi di blog, per la maggior parte aventi taglio “misto”, in cui vengono, quindi, affrontate tematiche legate alla sfera personale e professionale.

L’importanza strategica di esserci
I professionisti maggiormente presenti sono quelli che ricoprono cariche in relazione più diretta con gli stakeholder aziendali come il direttore di comunicazione, il responsabile ufficio stampa e il responsabile CSR. E le donne risultano più attive degli uomini, in particolare su Twitter la percentuale di donne presenti è doppia rispetto a quella dei colleghi uomini. Le piattaforme di social networking come Twitter e LinkedIn e i blog, influenzano in maniera sempre più incisiva la reputation delle aziende e il contesto che le circonda. E’ essenziale quindi che i top manager siano in grado di leggere ed interpretare dinamiche e consuetudini che regolano questi canali, in maniera tale da poter completare la propria visione d’insieme ed essere in grado di interagire adeguatamente con tutte le forze che agiscono sull’organizzazione entro cui operano. Anche se i manager che cinguettano non sono molti, non mancano tuttavia le buone prassi e gli esempi a cui ispirarsi. La gran parte dei profili individuati presenta caratteristiche peculiari che, se opportunamente isolate, possono comporre il profilo ideale: dotato degli elementi in grado di renderlo efficace ed appropriato rispetto alla piattaforma. Tra gli elementi essenziali perché si possa avere un profilo efficace rientra una bio ben scritta, completa e dettagliata, che in 160 caratteri riesca fornire quanti più elementi possibile sul titolare dell’account. Accompagnare queste poche righe con un’immagine riconoscibile è consigliabile. Infine un tweet immediatamente comprensibile e possibilmente contenente un hashtag è l’ideale per favorirne la diffusione. Sono solo 3 i manager che utilizzano Twitter a scopi prettamente professionali; Eliana Baruffi, Direttore comunicazione e Responsabile Ufficio stampa di ABB, Marco Patuano, AD di Telecom Italia e Henry Proglio, Presidente di Edison. La metà dei profili ha invece un taglio “misto”,
vale a dire che vengono veicolati messaggi a carattere professionale e personale. E’ uno stile di gestione che richiede particolare attenzione. In sostanza qualunque opinione pubblicata, se non altrimenti specificato, può essere attribuita sia alla persona che all’azienda che essa rappresenta. Non è da considerare un errore far convergere la propria sfera professionale e personale nello stesso flusso di tweet, ma è opportuno precisare, preferibilmente in bio, quale sia la linea di demarcazione tra sé e la società in cui si opera. Tra questi si distinguono per professionale), si distinguono per chiarezza della biografia, alto numero di follower e qualità dei tweet, Alessandro Benetton, Presidente di Benetton, Carlo Rossanigo, Direttore comunicazione di RCS Media Group e Andrea Prandi, Direttore Comunicazione di Edison e past president Ferpi.

Proprio Prandi ha ottenuto il primo posto nella “social media influence” in Italia secondo Lundquist, basato sui dati provenienti da Klout, un algoritmo che calcola l’intensità e la quantità delle interazioni online di un singolo profilo (sia esso corrispondente ad un individuo o ad un brand) ed elabora uno score di influenza attraverso le reti a cui afferisce, sui principali social media (Twitter, LinkedIn, Facebook, Google Plus, Foursquare e Wikipedia). Klout esprime un valore numerico tra 1 e 100. Andrea Prandi, Direttore Comunicazione e Relazioni Esterne di Edison ha ottenuto su Klout un punteggio di 55 davanti a Marco Patuano, Amministratore Delegato di Telecom Italia (50) e Paolo Calvani, Direttore Comunicazione di Mediaset (48).

I rischi
Ma quali sono i rischi di una presenza dei top manager per le società sui social media? Se tradizionalmente sono la direzione comunicazione e l’ufficio stampa a dare voce all’azienda, i social hanno determinato una moltiplicazione dei canali attraverso cui l’informazione può passare. Il rischio è che i vertici aziendali dotati di un account sui social media possano disintermediare tutte le altre funzioni aziendali che si occupano nello specifico di comunicazione e raggiungere il grande pubblico senza alcun filtro. Questa situazione, in via di consolidamento, porta con sé vantaggi e svantaggi.

Tra gli svantaggi rientrano possibili incongruenze con il messaggio corporate, diffuso anche attraverso i media mainstream. Tra i vantaggi invece possiamo includere la possibilità che hanno i top manager di umanizzare l’organizzazione esprimendosi con un linguaggio differente, più vero, meno mediato, magari evitando l’ “aziendalese”.

“Un qualsiasi messaggio diffuso tramite social media – ricorda Sara Rusconi, partner di Lundquist – corrisponde a tutti gli effetti ad una pubblicazione. Questo comporta la necessità di prestare particolare attenzione a quello che viene scritto, evitando commenti troppo personali oppure scritti d’impulso. Questo vale soprattutto per i vertici aziendali”.
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