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Prima che Blackwater fosse Xe, Philip Morris era Newco

30/03/2009

È tipico delle grandi imprese dare motivazioni poco chiare quando decidono di cambiare denominazione, strategia che nel mondo delle rp viene definita ‘riposizionamento’ o ‘rebranding’. Alcuni esempi di grandi corporation che hanno intrapreso un’operazione rischiosa, motivate dal desiderio di cancellare un passato e un’immagine negativa.

Vignetta: “Senta, per prima cosa invece di scarafaggi vogliamo essere chiamati compagni bacherozzi”



La Blackwater worldwide, fornitore militare privato, dopo anni di pessima stampa, conseguenza di appalti truccati e massacri di civili iraniani, ha deciso di cambiare il suo nome nel criptico “Xe” (da pronunciare Zee). Con un’analoga misteriosa decisione, Countrywide, ormai disonorato prestatore di mutui sub-prime, ha annunciato che il suo nuovo nome sarà “Bank of America Home Loans” dal suono pastoso e rassicurante.
Per concludere il giro di questa triade di camaleonti, ricordiamo che la prigione Abu Ghraib di Baghdad, resa nota al mondo dalle torture e dagli abusi perpetrati tra le sue mura sia da Saddam Hussein che dal governo americano, oggi si chiama Baghdad Central Prison.


Come per tante altre scaltre tattiche di Rp, anche questa volta è stata l’ industria del tabacco ad aprire la strada. Nel 2003 il gigante del tabacco Philip Morris (PM) ha cambiato ufficialmente il proprio nome in “Altria Group”, un nome qualunque privo di connotazioni negative. Questo cambio è venuto dopo che Business Week aveva pubblicato, nel novembre 1999, un devastante articolo dal titolo “Philip Morris: Inside America’s Most Reviled Company” (Philip Morris: dentro la Società più oltraggiosa d’America).


E’ tipico delle grandi imprese dare motivazioni poco chiare quando decidono di cambiare denominazione; servirà a ‘definire meglio’ quello che facciamo o a ‘chiarire’ una diversa impostazione dei servizi. Come dichiarato da un portavoce della Blackwater/Xe “Abbiamo portato la società ad un livello che non corrisponde più a quanto sottinteso in Blackwater”.


Ma nel mondo delle grandi imprese, dove il brand è tutto, cambiare nome ad un marchio noto è solo un disperato, ultimo tentativo. Non si tratta proprio di un rinnovamento o di una rinascita: è come un politico che, coinvolto in uno scandalo, dice di ritirarsi per passare più tempo con la famiglia.


Cosa c’è nel cambio di un nome? Tutto e di più


In un documento specifico di Philip Morris si spiega la vera ragione del cambio del nome, strategia che nel mondo delle rp viene definita ‘riposizionamento’ o ‘rebranding’.


PM ha iniziato a pensare di cambiare nome già nei primi anni ’90. Un rapporto del 1993 riferisce di un incontro ad alto livello tenutosi a Leesburg in Virginia, per discutere della caduta di credibilità della società e del conseguente crollo del morale dei dipendenti. Vi hanno partecipato i massimi dirigenti di PM, i delegati senior delle sedi centrali e i rappresentanti della Burson Marsteller, da lungo tempo consulente di PM per le rp: tema della discussione il riposizionamento della Philip Morris Co.


“Secondo quanto riportato nel rapporto conclusivo, era necessario far sì che mutasse la percezione di PM come di una società ‘esclusivamente’ produttrice di prodotti del tabacco”.
Una delle proposte per raggiungere questo obiettivo fu quella di cambiare nome. Anche se una scelta estrema, PM la accettò come se fosse l’unica opzione, e si continuò a discutere come far ripartire una nuova immagine della società perché fosse quanto prima conosciuta come ‘già Philip Morris’ (nel rapporto si parla di ‘NewCo’).


Manipolare i dipendenti e il pubblico


Grazie alla modifica del nome, PM pensava di riuscire ad influenzare il comportamento attuale, passato e futuro dei suoi dipendenti. Si sperava che i dipendenti ‘si impegnassero in un passaparola positivo per la società, proponendola sia all’interno che all’esterno con un investimento attivo nell’organizzazione’, suscitando anche un interesse costruttivo nei neo-laureati in cerca di impiego. I dirigenti di PM non volevano che i dipendenti si sentissero ‘parte di una società del tabacco’, bensì parte di una grande società ‘i cui giorni migliori devono ancora venire’.


Per i pensionati si auguravano non soltanto che mantenessero i loro investimenti nella società, ma anche che la suggerissero ad altri come solido investimento. Per quanto riguarda gli investitori istituzionali PM auspicava che ‘non la considerassero più una società del tabacco’, ma ‘una società con un futuro brillante ed a basso rischio’.


Gli altri obiettivi di PM erano migliorare la sua traballante immagine presso i decisori pubblici, le università e i centri medici, che erano allora riluttanti ad instaurare legami con un gigante del tabacco. PM era convinta che ‘le maggiori università e le fondazioni mediche’ avrebbero potuto essere convinte ‘ad investire nella NewCo’. I partecipanti al meeting strategico avevano predetto che, nel giro di tre/cinque anni dal riposizionamento, PM avrebbe potuto ‘assicurarsi l’appoggio di organizzazioni che oggi non ci approvano’.


Un aspetto critico è che, dopo il riposizionamento, la NewCo fu immediatamente percepita come ‘una società del tabacco – nessun guadagno, molte pene!’ E fu anche rilevato che il riposizionamento ‘avrebbe potuto dare la percezione che la società fosse ‘alla canna del gas’ e che ‘avrebbe potuto nuocere alle affiliate alimentari essendo formalmente connesse al tabacco sotto la denominazione NewCo’.


Nonostante il cambio di denominazione, PM è oggi più che mai una società del tabacco, avendo alienato il gigante dell’alimentare Kraft e acquisito nel 2007 il produttore americano di sigari John Middelton, Inc.. e, nel 2009, la società produttrice di tabacco senza fumo U.S. Tobacco. Ma siccome il nome ‘Altria’ non significa nulla per la maggior parte della gente e non ha neppure un’immagine pubblica, almeno sotto questo aspetto, PM sembra aver raggiunto i suoi obiettivi.


Rafforzare l’ego dei dirigenti


Sintomatica delle propensioni e della personalità dei dirigenti di Philip Morris è la descrizione di un brain storming di cui si riferisce verso la fine del documento. Sotto il titolo ‘Idee per il lancio di NewCo’ troviamo un elenco con le seguenti bizzarre, ed al tempo stesso grandiose, proposte:


• acquisire il Superbowl
• coinvolgere Howard Stern
• costruire uno stadio vuoto… riempirlo di Jell-O
• possedere gli Olympics
• coinvolgere Rush Limbaugh
• sponsorizzare rave parties


e ultimo, ma da non sottovalutare, iniziare un programma internazionale targato PM e rivolto ai senzatetto.


Non dimenticare il web!


Avvicinandosi al momento dell’effettivo cambio di denominazione, la società diede all’operazione il nome in codice Progetto Capricorno (non è stato possibile sapere la ragione di tale scelta). Una delle prime mosse è stata l’acquisizione di una lunga lista di nomi di domini Internet che fossero in qualche modo collegati a ‘Altria’.


Un alquanto umoristico documento di due pagine, intitolato ‘Nomi del Dominio Capricorno’, elenca tutti gli indirizzi scovati da PM prima del cambio di nome. Fra questi, numerose versione di ‘Altria’ con diversa ortografia e una lunga lista di nomi di domini denigratori che forse possono interessare i critici, come Altriakills.com, Altriasucks.com e Altriastinks.com nonché le versioni .net e .org di tutti questi.


Tutto sta nella percezione


La lettura di questi documenti fa capire chiaramente che cambiando nome Philip Morris ha affrontato un’operazione rischiosa motivata dalla volontà di porre fine alla sua identificazione con l’immagine negativa collegata alle sigarette, al cancro e alla morte. Anche nei casi di Blackwater, Countrywide e Abu Ghraib i giornali hanno riferito che il cambio di denominazione era motivato dal desiderio di cancellare un passato negativo.


Quello che appare meno evidente – ma che emerge dai documenti di PM – è che il cambio di denominazione impatta anche sulle opportunità di una società di reclutare e trattenere dipendenti validi, di aumentare la fiducia degli investitori e il morale dei dipendenti, e di influenzare i decisori pubblici. Risulta anche chiaro che PM cercava di creare un ostacolo ai ‘gruppi di pressione’ che, dopo il riposizionamento della società, sarebbero stati spinti ad ‘indirizzarsi alle nostre business unit – non a NewCo’.


Blackwater e Contrywide si serviranno dei loro nuovi nomi per cercare di evitare la rendicontazione e nascondere le loro malefatte passate? Solo se glielo consentiamo. Un buon modello per respingere un riposizionamento del genere è quello degli attivisti per i diritti umani che – dopo che il ben noto centro di addestramento della Scuola militare delle Americhe ha cambiato il suo nome in ‘Western Hemisphere Institute for Security Cooperation’ – ha concluso ‘nuovo nome, stessa vergogna’. Per concludere, nessuna istituzione cambia nome quando le cose vanno bene!


F.C.


tratto da Center for Media and Democracy
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