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Relazioni con i media: ripartire? Ma da quali basi?

14/02/2006

Un corsivo di Toni Muzi Falconi.

"I giornalisti sono pronti a riconoscere i propri errori. Anche i comunicatori d'impresa devono riconoscere i loro". A lanciare la sfida è Ferruccio De Bortoli dal Four Season di Milano, dove ieri (7 febbraio) Anselmi, De Bortoli e Mauro, direttori di Stampa, Sole 24 Ore e Repubblica..."Così inizia la scorsa settimana su questo sito un interessante articolo di Andrea Prandi che si conclude con:"Mi è sembrata una buona occasione per chiedere ad Anselmi, De Bortoli e Mauro di continuare la discussione insieme ai comunicatori. Loro hanno dimostrato piena disponibilità per cui possiamo aspettarci una seconda vivace parte di questa discussione, dove anche noi potremo dire la nostra".L'impegno non è da poco e va preparato con attenzione. Proviamoci, partendo dall'applicazione del modello dei generic principles and specific applications che è alla base del nuovo modello globale di relazioni pubbliche in via di elaborazione al quale saranno dedicati i quattro intensi giorni di workshop previsti a New York dal 31 Maggio al 3 Giugno prossimi già preannunciato da questo sito. Il tema è tutt'altro che nuovo ed è sicuramente uno dei più tematizzati dal sito Ferpi dai sei anni che esiste. Non solo, ma il tema è stato dibattuto anche:- nel recente ciclo di 'dueorecon' promosso a Roma da Ferpi, Enel e Poste Italiane che per cinque lunedì ha riunito colleghi, docenti e studenti per discutere con Clemente Mimum, Bruno Vespa, Giovanni Floris, Enrico Mentana e Carlo Rossella;- per non parlare della giornata del Giugno scorso promosso dalla Chiappe Revello a Genova con Ferpi, con tanto di ricerca ad hoc della SWG e di presentazione del libro di Patricia Parsons;- nell'ultimo incontro di 'Fuori Orario' promosso da Ferpi Lombardia intitolato Le RP in redazione: collaborazione, conflitto o dipendenza?  e durante il quale si sono confrontati il presidente di Assorel Franco Guzzi e il Direttore di Milano Finanza Enrico Romagna Manoja- del lavoro di gruppo di Ferpi con Assorel nel primo semestre del 2005 con la Federazione Nazionale della Stampa per accompagnare con suggerimenti operativi la stesura della nuova legge sul risparmio in applicazione della Direttiva Europea Market Abuse  e infine- con tanti articoli e resoconti di incontri in Inghilterra fra relatori pubblici e giornalisti promossi dall'allora presidente del CIPR, l'ottima Anne Gregory.Dunque esiste un buona base di partenza per consentirci di identificare ed approfondire ulteriormente la questione.1.Partirei dal presupposto 'generico' che come cittadini e come professionisti italiani delle relazioni pubbliche abbiamo un interesse prioritario vitale ad un sistema di comunicazione libero, indipendente, responsabile e attuato nell'interesse generale e del rafforzamento delle istituzioni democratiche e del mercato. Pare banale dirlo, ma come ben sapete, in tutte le classifiche internazionali il sistema italiano della comunicazione si colloca nella seconda metà della classifica di Paesi che rispettano entrambi questi principi (autonomia dei media e libertà ecoommiche).Le implicazioni operative per noi sono chiare:- assicurare che una qualsiasi nostra azione diretta possa ulteriormente aggravare questa situazione, e promuovere volontariamente attività professionali tese sempre a incentivare anche altri soggetti (in primis, i nostri datori di lavoro e clienti) ad essere consapevoli di questa criticità e ad evitare comportamenti che producano conseguenze peggiorative.2.Passerei quindi ad una netta distinzione fra di due ruoli, quello del relatore pubblico e quello del giornalista, e nel definire il primo chiarirei che noi lavoriamo sempre per conto di interessi determinati  e particolari (privati, pubblici, sociali). Darei per scontato che, in un ipotetico contraddittorio con i tre illustri direttori, spetti a loro dire che anche quello del giornalista è un mestiere diverso da quello del relatore pubblico. Lo lascerei dire a loro, ma se noi affermiamo la nostra in qualche modo impediamo loro di dimenticare questa fondamentale diversità.3.Ancora, va sottolineata la radicale interdipendenza fra le due professioni e l'assoluta necessità che ciascuno sia ben consapevole di come si svolge il mestiere dell'altro. Per parte nostra:- da quanto tempo non visitiamo una redazione? Da quanto tempo non incontriamo personalmente i giornalisti e ci limitiamo a comunicare con loro via telefono, e-mail quando non giovani stagisti/e con scarsa dimestichezza della materia trattata?- da quanto tempo non leggiamo il codice deontologico del giornalista (che tra l'altro nel nostro caso è anche legge dello Stato)? Quali comportamenti attuiamo affinché non rappresentino per p il nostro interlocutore un invito, suggerimento, incitamento a violare quel codice? Molte testate hanno anche aggiunto codici, regole e principi propri. Li conosciamo? Li rispettiamo?4.Ed ora, proviamo a riprendere, uno per uno, quei sette possibili indicatori suggeriti qualche settimana fa su questo sito per valutare la responsabilità del comportamento comunicativo di una organizzazione e vederne le implicazioni specifiche nelle relazioni con i giornalisti. Li ricordate?a) trasparenzaIl giornalista deve sempre conoscere l'interesse rappresentato dal relatore pubblico. Provate a chiedervi se è sempre così oppure se qualche volta, soprattutto ma non soltanto fra i consulenti, non avvenga che argomentando un interesse noto al giornalista non se ne faccia passare in modo surrettizio un altro meno conosciuto (talvolta perfino al committente primario con il risultato che un cliente finisce inconsapevolmente per pagare il lavoro in favore di un altro)?Il giornalista deve sempre potere avere accesso diretto alle fonti e ai documenti, quando la loro consultazione non siano vietati dalla legge. In molti casi il rispetto di questo principio è difficilissimo da attuare, è vero, ma nella gran parte dei casi il non rispetto non dipende dalla difficoltà di attuazione, ma dalla scarsa consapevolezza e prontezza di riflessi professionali del relatore pubblico.b) veridicitàLe informazioni e i materiali che il relatore pubblico trasferisce al giornalista devono sempre essere veri, verificabili e sostenibili rispetto a qualsiasi contestazione di autenticità. Utopia? Dirà qualcuno: che responsabilità può avere il relatore pubblico in buona fede che passa la giornalista informazioni ricevute dal datore di lavoro/cliente? Condiviso, credo e spero!, il principio che il relatore pubblico non possa operare come un semplice postino, e stabilito anche l'incontrovertibile verità che nessun relatore pubblico è Pico della Mirandola, esperto in tutto e capace di valutare se una informazione è sicuramente vera, c'è però di mezzo il mare. I margini di incertezza, di ambiguità, di interpretazione eccessivamente parziale che esistono sempre nelle nostre fonti primarie - verbali, visive o documentarie - rendono imperativo per il relatore pubblico esercitare ogni sforzo per verificare l'esattezza delle informazioni prima di trasferirle al giornalista.Laddove i dubbi e le perplessità rimangano il professionista farà bene ad esprimere esplicitamente questi dubbi al suo cliente/datore di lavoro (questo, oltre che per correttezza, anche per mettersi al riparo da future grane giudiziarie ed economiche che ormai si presentano con impressionante frequenza) e, con tutta la diplomazia consentita dal caso specifico, invitare lo stesso giornalista a compiere verifiche indirette.Per questa settimana, mi fermo qui ricordando che gli altri indicatori erano:- chiarezza- completezza- tempestività- correttezza- rilevanzaInvito i lettori ad indicarmi altri indicatori aggiuntivi, a commentare, correggere, aggiungere argomenti a quanto già scritto. Credo poi che tutti questi materiali potranno essere utili alla Ferpi per definire una propria policy' sul tema così da presentarsi preparata all'interessante confronto che Prandi ci ha preannunciato la scorsa settimana. Intervenite qui.(tmf)
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