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Rp Lab - Dalla socialdemocrazia alla social media democrazia

07/11/2012

La rielezione di Barack Obama a Presidente degli Stati Uniti ha portato con sé un record, quello del tweet più popolare della storia, con oltre mezzo milione di retweets a sette ore dalla sua pubblicazione. Sono quindi due i vincitori delle presidenziali: Obama e i social network, come afferma _Gabriele Cazzulini._

di Gabriele Cazzulini
L’election day del 6 novembre 2012 ha decretato due vincitori: Barack Obama, 45° presidente degli Usa, e i social media, motore di una trasformazione radicale della politica.
Il tweet con cui Obama ha annunciato al mondo la sua riconferma elettorale è stato, finora, il tweet più popolare nella storia, con oltre mezzo milione di retweets a sette ore dalla sua pubblicazione. La notizia nella notizia è che questo tweet della vittoria è stato comunicato ancora prima del discorso ufficiale del presidente.
Senza precedenti: l’impatto generale dei social media sulla campagna presidenziale ha trasformato non solo la classica comunicazione politica, ma la politica stessa. Secondo ricerche, che meritano comunque un approfondimento, il bottone “I’m voting” su Facebook, oltre a “socializzare” l’esperienza del voto su Facebook, pare abbia anche funzionato come potente incentivo per spingere la gente a votare, non solo su Facebook. Inoltre la grande mole di dati da Twitter permette di effettuare ricerche e analisi per verificare la capacità predittiva dei tweets e addirittura formulare previsioni. Sono solo due tra le tante notizie che celebrano la vittoria dei social media.
Senza armi e senza sangue, i social media hanno innescato una metamorfosi del paradigma politico. Certo, l’enorme personalizzazione dell’elezione presidenziale si è sposata perfettamente con la logica dei social media e dei loro profili personali. Ma è solo un aspetto laterale. In questa metamorfosi rischiamo di subire un deficit e un vuoto.
Il deficit: i social media stanno trasformando la politica col guanto di velluto, senza imporre ideologie, senza istigare conflitti. Ma è proprio questo il punto: in questo tripudio di tecnologia “soft”, rischiamo di patire un deficit di contenuti, idee, progetti. “Obama is the message”, per dirla con McLuhan. Ma Obama cosa dice? Politicamente, Obama 2012 è radicalmente diverso da Obama 2008. Nei 140 caratteri di Twitter non c’è spazio, nè tempo, per confrontare i programmi e ragionare. Abbiamo tecniche sempre più evolute e diffuse, come il fact-checking, per verificare se il politico racconta frottole. Ma rischia di diventare sempre più un gioco di sponda, di reazione, di verifica e controllo, piuttosto che creazione e discussione aperta. Passiamo al setaccio ogni messaggio, sui social media non sfugge nulla. Ma dov’è il momento della conversazione creativa?
Ecco, il vuoto. I social media mettono a rischio di sopravvivenza i partiti. I social media sono eccellenti nel collegare la gente con i politici e lo sono altrettanto nello scollegare la gente dai partiti. Una volta i partiti erano le strutture di intermediazione con i politici e le istituzioni, e questo lo sappiamo bene. Ma quello che si è dimenticato è che i partiti avevano il monopolio su questa intermediazione tra società civile e sfera politica. Già l’odore di muffa che proviene da questi termini fa capire come oggi i social media abbiano spostato pesantemente la politica in direzione dei cittadini. Uno potrebbe dire: meno male, pensando ai danni recati dalla partitocrazia. Ma allora bisogna ripensare una democrazia con meno partiti e più popolo. Cioè, bisogna capire dove avviene la funzione di aggregazione e articolazione di questa marea di conversazioni 2.0 per farne proposte, questioni, domande per la classe politica.
La social-media-democrazia è ormai una realtà e lo sarà ancora di più, anche per l’Italia e le sue prossime elezioni politiche. Bisogna iniziare a capire questi processi e iniziare a collegare il vecchio e il nuovo. Per non ritrovarsi “taggati” in parlamento o vedere una legge “retwittata” perchè non aveva il quorum di like…

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