Rp Lab - Il consulente deve identificarsi col cliente?

Non solo una questione deontologica ma uno dei fondamenti delle Rp: è necessario che il consulente si identifichi pubblicamente con il cliente? Serve a costruire fiducia o rischia di rendere ridicolo il comunicatore? La riflessione di _Gabriele Cazzulini._

di Gabriele Cazzulini
Talvolta può far bene regredire alle questioni più essenziali. Questa è la volta giusta. Le relazioni pubbliche, specialmente nell’evolversi della loro definizione, inglobano sempre più complessità sociale. Umana, ma anche culturale ed etica. Il pubblico non è solo un insieme a sua volta frastagliato di individui e gruppi sociali. E’ anche un insieme fluido di idee, opinioni, informazioni, codici morali, visioni del mondo, punti di vista particolari. Allora, in questo pulviscolo di atomi, legami e strutture più complesse, come si rapporta il consulente delle relazioni pubbliche? Mantiene la sua indipendenza e la sua libertà di posizione e pensiero? Deve forse adeguarsi, anzi: aderire, non solo agli obiettivi del suo cliente ma anche alla sua etica, alla sua politica?
Caso concretissimo: una campagna elettorale. Che fa lo spin doctor? Si mette a ragionare e a valutare il mondo in base ai canoni del candidato per cui lavora? Deve farlo pubblicamente e a titolo personale, spacciando opinioni del suo cliente come fossero farina del suo sacco? Quando volano le prime rondini, forse non è ancora primavera. Ma sicuramente si avvicinano le elezioni: infatti su tanti profili “social” sbocciano per incanto messaggi di supino consenso verso quel candidato o quel partito. Poi poco per volta scopri che gli autori dei messaggi lavorano, segretamente, per quello o per quell’altro. Ma non lo dicono pubblicamente: semplicemente, un pò miseramente, iniziano ad essere un golem, un burattino. Idem nel marketing di prodotti. Tutti entusiasti, convinti, a tratti euforici, per il prodotto che comunicano o per l’evento che organizzano. A parte il rischio di svendere la propria dignità e autonomia, per meglio assistere un cliente, serve davvero identificarsi con lui? – ha ancora senso questa domanda? E’ come se, per studiare la diffusione dell’Aids, gli scienziati dovessero contrarre l’Hiv per lavorare meglio. Ma se poi mi occupo di altre malattie, devo ammalarmi in continuazione? Pazzesco. Se lavoro per più partiti, ogni volta dico al mondo che ho cambiato idea? Ridicolo.
Non è solo una questione deontologica. C’è di mezzo una concezione di fondo delle relazioni pubbliche che rischia di insabbiarsi nella mera propaganda personale, anzichè nella costruzione di reti sociali col pubblico, i media, le istituzioni. Se io lavoro per il partito X, non mi serve a niente il fatto di sposare pubblicamente il suo programma, a parte carpire la fiducia del mio cliente. O no? Forse, scavando un pò di più, emerge qualcos’altro. Fare relazioni pubbliche richiede comunque un certo livello di fiducia tra cliente e responsabile delle relazioni pubbliche. Ciò è ancora più vero quando le relazioni pubbliche sono affidate ad una sola persona, che per giunta non occupa un ruolo interno all’azienda o al partito. Il modo più immediato per dimostrare fiducia è dimostrare che la penso come te o comunque che mi piacciono i tuoi prodotti. E’ uno scambio di fiducia. Ma farlo pubblicamente non è certo una conferma di professionalità.
Siamo abituati a vedere il lato pubblico delle relazioni pubbliche. Ma anche il rapporto col committente è importante e richiede una riflessione più matura rispetto alle mie vaghe considerazioni. Un utile punto di partenza è già questa domanda: qual è il ruolo, e il valore, del profilo personale e pubblico del responsabile delle relazioni pubbliche?

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