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Rp: l'importanza dell'eccellenza

21/06/2013

Le Rp devono puntare in alto. La crescita della professione passa dall’ambizione ad un alto livello qualitativo, a partire già dalle aule universitarie. Sulla base della sua esperienza di docente, _Heather Yaxley_ auspica un cambio di paradigma che conduca a criteri di valutazione realmente meritocratici.

di Heather Yaxley
L’anno scorso ho scritto di “eccellenza”, sostenendo che le Relazioni pubbliche avessero bisogno di estendersi al di là dei livelli di performance prestabiliti o di preminenza comparativa. Recentemente, ho avuto modo riflettere su quest’idea mentre correggevo i compiti dei miei studenti e davo un’occhiata ai vincitori di diversi premi nel settore delle Rp. La mia conclusione è che mi piacerebbe vedere ambizioni molto più grandi di quelle che attualmente vedo in questa professione.
Abbandonare i voti
Un’idea è quella di abbandonare tutti i punteggi o i voti nei compiti. Al contrario, il punto di partenza dovrebbe essere quello di fissare criteri molto chiari affinché un lavoro sia abbastanza buono da poter essere classificato. E vorrei sottolineare BUONO – in modo che una sufficienza sia una chiara indicazione di competenze ad un livello elevato. Non nella media, ok o soddisfacente, come vedo in molti criteri di valutazione – ma almeno BUONO. Andiamo oltre e diciamo che forse la maggioranza non dovrebbe superare un esame, come sembra accadere oggi. Le aspettative parlano di almeno l’80 o 90% (spesso 100%) dei compiti che ottengono una sufficienza. Mi sembra una sciocchezza e sarebbe opportuno stabilire una chiara delimitazione di ciò che è BUONO perché in grado di rispondere a tutti i parametri richiesti.
Ora la mia seconda area di intervento. Molto nelle Rp è soggettivo e, per me, questo implica che al processo di valutazione dovrebbe essere applicata l’analisi qualitativa. Uno dei pericoli di molti degli approcci che ho visto è che sovrappongono il “miraggio” di un’analisi quantitativa con caselle da spuntare e punti percentuali, il che conduce inevitabilmente ad un’inflazione dei risultati. Invece di questo approccio spurio, sarebbe opportuno cercare di impegnarsi e di abbracciare gli aspetti qualitativi con un più ampio dibattito sui compito assegnati e su quali siano i requisiti a cui rispondere per avere successo. Infatti, in linea con l’elevato tasso di superamento degli esami, assistiamo anche ad un’inflazione di iper valutazioni, con il risultato che molti studenti si aspettavano di ottenere il massimo dei voti e non che questo sia un’eccezione.
Più tempo per l’orientamento
Io preferisco passare il mio tempo a lavorare con gli studenti in materia di orientamento formativo per migliorare il loro lavoro che non perder tempo sui voti dando loro feedback sommari. Allo stesso modo, dovremmo essere molto fiscali su come determinare cosa costituisca un BUON lavoro che siamo orgogliosi di mostrare come meritevole di una valutazione. Non sto dicendo che un alto livello sia raggiungibile soltanto da pochi studenti quanto che sia necessario incoraggiare un maggior numero di studenti a raggiungerlo e superarlo che non stabilire un livello puerile da raggiungere.
Un altro cambiamento che mi piacerebbe apportare è quello di offrire un reale riconoscimento dei lavori eccezionali. Questo richiede un maggior numero di indicatori ed un esame minuzioso. Abbiamo bisogno di incoraggiare i migliori, le persone più intelligenti che lavorano nelle Rp. Troppe volte vedo che vengono premiati con il massimo dei voti lavori appena sufficienti – o il migliore in quel dato momento – spesso al limite inferiore dei criteri di valutazione. O, peggio ancora, ho visto la tendenza a dare valutazioni gonfiate a lavori niente affatto perfetti.
Naturalmente, un simile standard deve essere giustificato e non soggetto a pregiudizi frutto di particolari punti di vista o favori. Quando seguiamo singoli studenti è facile rendergli merito per la loro realizzazione o la loro crescita nel tempo. Questo è comprensibile, ma non accade nel mondo reale, in cui essere bravi o superare delle difficoltà non viene tenuto in considerazione quando si deve affrontare un cliente o un capo e giustificare il proprio lavoro.
Le qualifiche variano per il continuo sviluppo della professione anche se possono esserne parte. Quest’ultimo è lo spirito del kaizen, secondo cui dovremmo porci obiettivi ambiziosi perseguendo piccoli miglioramenti sequenziali. Ottenere una qualifica dovrebbe essere un’ambizione che, quando raggiunta porta gloria e orgoglio. Questo non è il momento per un attestato di partecipazione – questa è la formazione sul campo!
Basta vincitori mediocri
Questo mi conduce a parlare dei premi. Francamente la maggior parte dei vincitori sono insulsi e non certo indimenticabili. Possono essere giudicati sulla base di una buona idea o di iscrizioni con parametri non confermati (quando un’iscrizione viene verificata in modo indipendente?). O forse i giudici possono essere influenzati da un brand o dalla notorietà di una società di consulenza dal momento che pochi programmi prevedono l’anonimato all’atto dell’iscrizione. Anche in questo caso la soggettività è al centro del lavoro – e questo deve essere considerato all’interno di una solida metodologia – accanto a misure quantitative più verificabili. Inoltre, c’è bisogno di giudicare severamente e con il supporto di professionisti ed accademici esperti, se davvero i premi hanno uno standard da “blue riband”.
Naturalmente, sappiamo che la ragione per cui premi e qualifiche vengono assegnanti come caramelle è troppo spesso di natura finanziaria, piuttosto che non frutto di strategie per migliorare il livello di pratica professionale e dare un riconoscimento a coloro che si distinguono nel nostro campo.
Lavoriamo in un mondo “cash for honour” e ho ambizioni più grandi di questa per le Relazioni pubbliche.
Fonte: PR Conversations
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