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Rp o comunicazione?

16/02/2011

Come i professionisti della comunicazione e delle Rp definiscono il proprio lavoro? Che immagine danno di se stessi ai vertici aziendali e come questo influenza l’opinione che danno all’esterno? _Daniel Tisch,_ presidente della canadese _Argyle Communications,_ racconta i risultati di un suo recente esperimento durante un convegno.

di Daniel Tisch
E’ una questione datata, quella che ho posto in una stanza piena di professionisti in un recente convegno del Consiglio canadese delle Imprese di Relazioni Pubbliche: quale termine si usa per descrivere il nostro business?
La domanda ha diviso il pubblico in due parti più o meno uguali che proponevano l’una, relazioni pubbliche e l’altra comunicazione.
Chi preferisce il termine “comunicazioni” lo vede come più rilevante per il top management e libero dal bagaglio di preconcetti negativi che le “PR” portano con sé – quali, ad esempio, la superficialità percepita, la “camicia di forza” delle media relations, l’assimilazione al concetto di spin o il fare cose perché sono apprezzate non perché siano giuste. Questi potrebbero far parte dell’Associazione Internazionale dei Comunicatori d’Impresa.
Chi invece sceglie il termine “relazioni pubbliche” tiene in considerazione la precisione, il focus sulle relazioni come esito di qualsiasi comunicazione efficace e precursore di reputazione e brand forti. Alcuni inoltre sottolineano il corpo di conoscenza accademiche in continua espansione crescente corpo PR di conoscenze accademiche, le credenziali ed altre caratteristiche di una vera professione. Questo gruppo vede il termine “comunicazioni”, come troppo ampia, e quindi vago – qualsiasi cosa vada dalle reti di telecomunicazione al counselling. Forse questi ultimi fanno parte della Società Canadese di Relazioni Pubbliche.
Ho visto accesissime diatribe su questo argomento, come la questione di vita o di morte sul fatto che il termine corretto sia “comunicazione” o “comunicazioni”.
Entrambe le parti hanno buone motivazioni. Le parole contano davvero per noi. Comprendiamo e rispettiamo il loro potere per definire e difendere, provocare e persuadere. Ed aggiungerò che esiste ben più che una differenza semantica tra relazioni pubbliche e comunicazioni.
Ma la questione interessa ai CEO?
Per esaminare questo punto cruciale, ho provato un esercizio diverso. Ho chiesto alla metà delle persone in sala a scrivere una frase sul modo in cui “vendono” il valore di ciò che facciamo ai propri CEO. L’altra metà dei presenti fingeva di essere CEO e doveva scrivere una frase che li avrebbe convinti del valore delle Rp/comunicazioni. I risultati, raccolti da un intelligente (e paziente) stagista di Argyle, Taryn Wismer, sono stati istruttivi:
• I relatori pubblici/comunicatori, utilizzano all’80% “relazioni pubbliche”, “comunicazioni” o “media relations” per riferirsi alla nostra professione.
• Tra i CEO, solo il 20% ha utilizzato uno di questi termini.
Il “CEO” in sala hanno scritto che sarebbero stati più convinti da argomentazioni che avessero alluso agli obiettivi di business, alle vendite e alla crescita, al profilo aziendale e di prodotto, ai pubblici ed alla compresione e reputazione degli influencer.
Per me, l’esercizio è stato una sorta di deja vu che che mi ha riportato alla memoria qualcosa che ho sentito dire a molti CEO: non dirmi quello che fai ogni giorno, invece, mostrami che utilità potrebbe avere per la mia organizzazione.
Non importa come ti chiami, non è un ottimo consiglio di Rp o…comunicazioni?
Tratto dal blog di Argyle Communications
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