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Rp online - Da Meerkat a Periscope: il Broadcast si fa Social

16/04/2015

Se fino a qualche tempo fa il video streaming pareva incapace di catalizzare attenzione e consensi, unendosi ai trend digitali come mobile, contenuto video e social media, ha cambiato le carte in tavola: nasce il mobile video streaming e diventa un fenomeno virale. L’analisi di Valentina Citati per la rubrica Rp online.

 

Il mobile video streaming è la tendenza del momento. Il segreto del suo successo sta probabilmente nell’aver riunito il video streaming, servizio già esistente da tempo ma incapace di catalizzare attenzione e consensi, con i top trend del mondo digitale: il mobile, il contenuto video e i social media. Proprio la combinazione di questi elementi diversi avrebbe fatto la differenza dando vita ad un fenomeno virale.

L’accesso al web, come è ben noto, avviene sempre più da cellulare. A livello globale l’80% degli utenti internet possiede uno smartphone (The State of Digital Marketing in 2015). Anche in Italia gli ultimi dati Audiweb(gennaio 2015) confermano come Internet sia sempre più sinonimo di mobile: gli utenti online nel giorno medio da device mobili sono ben 17.6 milioni contro i ‘soli’ 12.6 milioni da pc. Perciò non stupisce come siano proprio due applicazioni, Meerkat e Periscope e da ultimo Streamago, ad aver lanciato con incredibile successo il livestreaming. Queste app consentono, infatti, in maniera semplice e rapida di trasmettere audio e video dei momenti vissuti e condividerli in diretta con la propria rete sociale (in quanto collegate direttamente a Twitter e a Facebook nel caso di Streamago). Nell’insieme di questi ingredienti sta la novità dirompente apportata rispetto agli strumenti già esistenti di video streaming come Ustream o Livestream incapaci di destare finora attenzione e coinvolgimento. Il broadcast si fa social dal momento in cui diventa semplice, alla portata di tutti, accessibile in ogni momento dal proprio smartphone e, soprattutto, immediatamente visibile e condivisibile con il network personale di amici e follower.

Tutto è iniziato a marzo con Meerkat, l’app che consente di trasmettere video live direttamente su Twitter. Dopo pochi giorni però il sito di microblogging, intuendo le potenzialità della nuova applicazione, si è attrezzata in proprio e ha lanciato Periscope rendendo l’accesso ai suoi dati per Meerkat più complicato. Le due app fanno la stessa cosa, seppur con minime differenze, consentendo di trasmettere attraverso la telecamera del proprio smartphone filmati che vengono direttamente pubblicati su Twitter e, quindi, resi visibili ai follower che potranno non solo guardarli ma anche commentarli ed esprimere il loro gradimento. I video così prodotti hanno in entrambi i casi vita breve, limitata al momento della trasmissione anche se è possibile salvarli sul telefono e Periscope consente anche di riprodurli in differita per le successive 24 ore. Dopo il loro successo Tiscali ha lanciato Streamago Social, app per iOS che trasferisce il servizio su Facebook. I filmati vengono pubblicati sulla bacheca ed è possibile ‘taggare’ gli amici perché vengano avvisati nel momento in cui si trasmette.

Il fenomeno, come si può immaginare, ha scatenato numerose riflessioni tra accademici e professionisti della comunicazione. Gabriele Cazzulini, proprio su Ferpi, parla al riguardo di ‘life-streaming’, intendendo con ciò il processo di progressiva perdita di influenza dei media che porterebbe ad una comunicazione im-mediata dove non sarebbe più possibile distinguere il singolo messaggio, con un inizio e una fine ben definita, nel flusso continuo della vita e della realtà che diventano essi stessi oggetto di comunicazione.

Certamente l’ecosistema mediale si arricchisce, si modifica e si complica nel momento in cui modelli di comunicazione broadcast (uno a molti) tipici degli ‘old’ media vengono calati nel contesto orizzontale e reticolare dei ‘new’ media. Vecchie e nuove forme di mediazione convivono e si intrecciano grazie a queste nuove applicazioni che, come si legge sul sito di Periscope, permettono di ‘far scoprire il mondo attraverso gli occhi di qualcun altro’. Ciascun individuo può, così, diventare un ‘broadcaster’ decidendo ‘cosa’ inquadrare, da quale punto di vista, dove far cadere l’attenzione, cosa oscurare, quando iniziare e terminare le riprese. La forza di questo tipo di messaggio sta proprio nel suo non sembrare mediato per la sua natura istantanea, multimediale ed estremamente realistica. Più che alla fine della mediazione si assisterebbe, quindi, a nuove forme di re-intermediazioneprodotte tanto dai gatekeepers tradizionali quanto dai singoli individui nell’ambito delle proprie reti sociali. Non è un caso che Meerkat abbia destato l’attenzione inizialmente solo nell’ambito di siti di tecnologia e tra appassionati di settore e sia divenuta di massa nel momento in cui il colosso Twitter ha annunciato sui media mainstream la sua acquisizione e poi il lancio di Periscope. Allo stesso modo il loro successo è stato trainato da una serie di personaggi famosi che l’hanno provata per primi e ne hanno parlato (da Fiorello a Maccio Capatonda che hanno ‘testato’ Periscope fino ad Obama per Meerkat). Si è passati così dalla nicchia degli ‘early adopters’ all’adozione di massa secondo il classico modello di diffusione delle innovazioni di Rogers (1962).

Le innovazioni tecnologiche, d’altronde, si impongono se riescono a rispondere e soddisfare bisogni sociali preesistenti, anche se latenti e inespressi, e vengono a loro volta modificate dagli usi sociali dei diversi soggetti che le adottano. Da questo punto di vista gli strumenti di mobile video streaming hanno catturato immediatamente l’interesse di aziende e brand che possono sfruttare con costi contenuti la possibilità di veicolare contenuti unici ed esclusivi (momenti di backstage, fuori onda, attimi di vita quotidiana, esperienze personali ecc) per dare una sensazione di autenticità e vicinanza, attirando l’attenzione e coinvolgendo i loro fan. Una modalità di utilizzo dei social networks che Giovanni Boccia Artieri definisce ‘social broadcast’.

L’altro estremo di questa polarizzazione nell’uso sarebbe quello del ‘social lifecast’ proprio della maggioranza degli individui che assiste alla rappresentazione del quotidiano della propria cerchia sociale utilizzando newsfeed e timeline come palinsesti tv per mantenersi aggiornati e informati. Tra ‘vita reale’ e ‘dietro le quinte’ si collocherebbe, secondo il sociologo, la minoranza di quanti ancora sperimentano il potenziale originario dei social media come strumenti per ampliare la rete di relazioni ‘deboli’ incrementando il proprio capitale sociale.

Ed è proprio qui che si collocano, o si dovrebbero collocare, i professionisti delle relazioni pubbliche il cui bagaglio di competenze li rende in grado di cogliere le potenzialità offerte dal nuovo scenario socio-tecnologico per la costruzione di relazioni, la condivisione di conoscenze che non siano effimere e superficiali ma incrementino la reputazione online e, quindi, il valore di imprese e organizzazioni.
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