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Rp: una professione sempre più rosa

21/10/2010

Nel 1970 le professioniste iscritte a Ferpi erano il 15%. Oggi, dopo 40 anni, sono la maggioranza, toccando il 57,4%. Un convegno di Ferpi Lombardia ne ha indagato motivi e implicazioni attraverso una riflessione pubblica allargata al mondo della professione.

e donne, numericamente, rappresentano la maggior parte dei professionisti della comunicazione. Occupano, pero’, una percentuale minore di incarichi di vertice o manageriali, ancora appannaggio del “sesso forte”. Un dato che emerge con forza e trova conferma in ricerche, statistiche e numeri del settore e nelle principali associazioni professionali tra cui Ferpi.
Questo il punto di partenza e di discussione del convegno organizzato da Ferpi Lombardia per riflettere sulle implicazioni che la femminilizzazione della professione potrà avere nel futuro delle Relazioni Pubbliche.
Ma non solo.
Un convegno che non parte da rivendicazioni di genere o femministe e lungi da essere un appello a rivendicare quote rosa in ambito professionale ma che e’ nato per discutere di un fenomeno di grande attualità.
Quarant’anni ripercorsi mettendo a confronto la situazione sociale e professionale negli anni ‘70 con l’attuale posizionamento della donna nel mondo del lavoro.
Ma non solo.
Un’attenta analisi delle qualità, definibili come intrinseche, che sembrerebbero rendere la donna più adeguata all’ambito delle RP, come ribadisce Gherarda Guastalla Lucchini, Presidente di G&G Relazioni Pubbliche e socio fondatore della Ferpi: “Ritengo che le donne abbiano delle qualità, o forse solo degli atteggiamenti acquisiti nei secoli per come era impostata la società, che oggi le aiutano ad essere davvero brave in questa professione. E per brave intendo adeguate a raggiungere posizioni di management o di consulenza strategica nel nostro settore”.
Un inizio, quello degli anni ’70, caratterizzato da molti punti di domanda in un mondo del lavoro ignaro di quella che era in genere la professione del relatore pubblico, come spiega Carla Maggioni, titolare dello Studio Maggioni e anche lei tra le fondatrici di Ferpi “Allora non si chiamavano Relazioni Pubbliche ma Pubbliche Relazioni. E quando dicevi che facevi la PR ti guardavano con sospetto, con un punto interrogativo negli occhi: dovevi spiegare per filo e per segno di che cosa si trattava…”.
“Noi, – aggiunge Giacomina Lapenna, prima donna nel Consiglio della Federazione e oggi consulente e docente di strategia della comunicazione e del management psicologico – le prime che ci eravamo poste mete lontane, avevamo intuito che occorrevano certe cose. Non solo una volontà di ferro, coraggio, rinunce e competenza, ma anche cultura e aggiornamento, un nuovo modo di pensare che possiamo definire strategico”.
E oggi?
“Il settore della comunicazione – dice Silvia De Blasio, Responsabile Relazioni Media e Comunicazione Corporate di Vodafone Italia – ha fatto passi in avanti; le stesse aziende stanno acquisendo la consapevolezza dell’importanza di questo ruolo di facilitatore strategico, di mediatore tra tutti i suoi interlocutori. Non si tratta più di essere alla fine di un processo, ma di essere direttamente coinvolti nel processo decisionale e strategico dell’azienda”.
I numeri di questi 40 anni dimostrano che gli addetti alle Relazioni Pubbliche sono diventati sempre più numerosi. “Tuttavia – specifica Rosanna D’Antona, Presidente di D’Antona & Partners – le donne sono numerose alla base e molto limitate nei vertici. La strada è lunga, perché in Italia siamo lontani da un percorso quanto meno di parità”.
Un divario che si ripercuote all’interno delle organizzazioni, e della società, sia in termini culturali, sia economici.
“L’azienda – afferma infatti Amanda Succi, titolare di AJS Connection e Segretario Generale della Global Alliance – non valorizzando il ruolo della donna ai vertici, sta rinunciando a valori importanti e a un equilibrio fondamentale tra tipicità maschili e femminili”.
L’impatto economico non è meno rilevante, secondo quanto sostiene Alessandra Perrazzelli, Presidente di Valore D e Head of International Regulatory and Antitrust Affairs e CEO di Intesa Sanpaolo Eurodesk: “Il Paese non cresce senza donne, perché senza di loro viene meno il portato di risorse che ricevono un’altissima formazione, la cui mancata valorizzazione costituisce di fatto un lucro cessante, ovvero un bene impossibilitato a portare l’arricchimento che gli sarebbe proprio”. “Quanto più il mercato del lavoro permetterà alle donne di potersi inserire a pieno titolo nella vita professionale, tanto più le donne potranno apportare un cambiamento, anche nella professione, attraverso il loro valore – aggiunge Celeste Bertolini, Direttore Generale di Itinera Comunicazione.
Ma i segnali di qualche cambiamento si cominciano ad avvertire.
Relativamente all’ambito aziendale “sono state le società non quotate ad aver facilitato negli ultimi anni l’ingresso delle donne a livelli decisionali e strategici – afferma Patrizia Rutigliano, Direttore Relazioni Istituzionali e Comunicazione di Snam Rete Gas – “Gli sforzi ci sono ma il processo va accelerato, soprattutto nelle società quotate dove l’accesso ai vertici è ancora molto limitato per le donne. Mentre più evoluta è la situazione delle società di consulenza dove molte sono le imprenditrici, capaci e in grado di assistere grandi organizzazioni anche in situazioni di crisi”.
Sicuramente un segnale positivo ma che può nascondere un risvolto più amaro se si considera che – come sostiene Sissi Peloso, Direttore di BCF e Past President di Ferpi – “per molte donne la libera professione è una scelta obbligata, seppur felice”. Così come è amaro constatare quanto la relatrice riporta a proposito di una ricerca effettuata dalla Bocconi nel 2009 che sottolinea che la differenza in busta paga tra uomini e donne è del 22%, un dato convalidato da Il Sole 24Ore che conferma che la percentuale corrisponde, in una vita, a circa 360.000 euro in meno. Anche questo fa la differenza!
E allora che fare? In che direzione deve andare il contributo delle donne che contano perché la percezione di questa professione diventi sempre più ampia, profonda e motivata?
Una via è sicuramente quella del networking, o della ‘sorellanza’, come hanno concordemente sostenuto le relatrici. Una pratica resa più percorribile negli ultimi anni, a dimostrazione che la società sta maturando una cultura più evoluta nei confronti del rapporto donne/professione. Ma sempre più possibile anche perché, a differenza del passato, le donne oggi hanno la possibilità di riconoscersi in quanto tali anche in ambito lavorativo.
Il principio della autoconsapevolezza, del riconoscimento del proprio ruolo, è infatti emerso come un altro elemento chiave. “Questo è un momento topico – afferma Perrazzelli – in cui le donne di ruolo (soprattutto nella professione delle Rp che permette di toccare gangli molto importanti della società), oggi più che mai devono avere ben presente il proprio potere di empowerment”.
Due principi, questi, che insieme possono attivare concretamente un circuito virtuoso.
Come ha affermato Alessandra Veronese, Responsabile Comunicazione e Relazioni Esterne della Fondazione Cariparo “è importante che le donne che rivestono ruoli strategici nella nostra professione portino la propria testimonianza all’interno di comunità, come la Ferpi, o di contesti moltiplicatori, da cui possa derivare una risonanza del messaggio. Così come è fondamentale – prosegue Veronese – saper trasferire i propri valori, anche quelli relativi alla professione, al proprio team, che costituirà la classe dirigente di domani”.
Insomma un invito a sentirsi più forti del proprio ruolo e a condividere questa consapevolezza per imparare anche a convivere con gli uomini, nel senso più profondo del termine. Quello bidirezionale, che parte dal riconoscimento reciproco dei rispettivi ruoli e qualità, e che dovrebbe auspicabilmente portare ad una sempre maggiore interazione tra i generi su questi temi, allontanando definitivamente il rischio di percorrere strade autolesioniste come quelle dell’autoreferenzialità e del vittimismo.
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