Slave chocolate?
11/04/2006
Nestlè e cioccolata: la protesta delle associazioni anti-corporation era partita già lo scorso anno nei confronti dell'azienda elvetica e di altre aziende accusate di sfruttare il lavoro minorile nelle piantagioni di cacao in diversi paesi africani.
Dall'altra parte del mondo, in particolare nelle piantagioni di cacao della Costa d'Avorio, il gusto dolce del cioccolato ha un sapore amaro: qui vengono impiegati bambini prelevati dai villaggi del Ghana, del Burkina Faso, del Mali e venduti dai trafficanti di schiavi ai proprietari terrieri.
Le associazioni di protesta che da tempo denunciano il fenomeno sono rappresentate soprattutto da Global Exchange e da International Labor Rights Fund. Hanno addirittura realizzato dei video, dove questi inquietanti retaggi di colonialismo sono messi in luce con cinico realismo. Si sa e si sapeva, anche se qualcosa inizia a muoversi e le aziende iniziano a stipulare accordi con organizzazioni no-profit e a dichiarare i loro buoni propositi. La risposta alle accuse, in particolare da parte di Nestlè (la quale solo nel settore dolciario ha un fatturato superiore al prodotto interno lordo di Sierra Leone e Togo), fa leva come al solito su un palleggiamento di responsabilità per ciò che accade nei posti lontani. E al tempo stesso, grazie ad azioni socialmente responsabili, il celebre brand del cacao e i suoi colleghi cercano di regalare una verginità alle loro coscienze.
Intanto l'International Labour Organization stima che 284 mila bambini nel mondo lavorano per le farms del cacao. L'altro aspetto denunciato dagli attivisti riguarda i cartelli: un accordo di multinazionali gestisce i prezzi del cacao, mantenuti bassi alla produzione ed elevati nei successivi passaggi. Forbes ripercorre la notizia, presenta i dati, racconta le scelte di Nestlè nel campo della Csr.
Emanuela Di Pasqua - Totem