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Sondaggi, perché stupirsi?

03/02/2011

L’affaire Ruby è al centro della cronaca da diverso tempo ma nonostante tutto i sondaggi sembrano rispecchiare una quasi immutata fiducia nel governo. Perché non esiste corrispondenza tra le trattazioni dominanti sui media ed il senso comune degli italiani? L’analisi di _Mario Rodriguez_ di una situazione apparentemente anomala.

di Mario Rodriguez
Da settimane la vicenda del Rubygate domina il sistema mediatico italiano. E a fronte di questa presenza incalzante cresce, soprattutto a sinistra, la meraviglia per gli scarsi effetti che questo sembra avere sul senso comune degli italiani. I media impongono l’agenda ma non sembra modifichino le opinioni, al massimo le radicalizzano. Vengono confermate così alcune tendenze in atto da tempo. In primo luogo che comunicare nel campo politico significa soprattutto, se non esclusivamente, governare le relazioni con il sistema mediatico, il news management.
Secondo, la rapida affermazione del politainment, la politica come oggetto di spettacolo di intrattenimento televisivo, con gli esponenti politici sempre più assimilabili a partecipanti ad una sorta di reality della politica. Terzo, esce confermato il fatto che questi fenomeni convivono e interagiscono, non determinano in maniera meccanica, con mentalità, credenze, visioni, climi di opinione che appaiono vivere e riprodursi con un certo grado di autonomia.
È qui che nasce la meraviglia di molti nel non vedere corrispondere alle trattazioni dominanti sui media le opinioni diffuse. Ma proprio questa è l’esperienza più importante che stiamo vivendo e che dovrebbe portare a mettere da parte le speranze o le illusioni circa il potere della manipolazioni delle notizie (lo spin doctoring), del motto arguto e tagliente detto in tv (i soundbite) e tutto l’armamentario un po’ provinciale di chi trasferisce pedissequamente (presunte) esperienze nord-americane alla nostra realtà come ha magistralmente raccontato Cetto La Qualunque.
Quello che dobbiamo spiegare non è il fatto che chi agisce nel campo politico cerca di influire nel modo in cui e tv, informazione e spettacolo, “mediano” i loro comportamenti. Né che, per diventare interessanti e influenti, gli attori politici realizzino eventi che hanno la sola finalità di attrarre i media per bilanciare la loro capacità di agenda setting o offrire spunti ai media partigiani. Ormai questo comportamento è diventando riconoscibile, trasparente, e per questo meno efficace. Non si comportano così solo gli attori politici; persino le strategie degli avvocati appaiono condizionate dalla volontà di influire su come i media parleranno dei loro assistiti.
Insomma è chiaro che qualsiasi comportamento politico, amministrativo o di governo, debba ormai essere concepito subito considerando le sue conseguenze nel campo mediatico.
È il nostro tempo bellezza! Ma la saggezza popolare sta metabolizzando questa realtà in modo più rapido di quanto molti ispirati dal demone della Politica pensino. Il problema irrisolto è allora quello della generazione, riproduzione e permanenza del senso comune, quello che la gente pensa ritenendo che non si possa non pensare e lo pensa vivendo un giorno dopo l’altro, metabolizzando i messaggi dei media e respirando il clima di opinione determinato dal sistema mediatico.
A questo bisognerebbe dare risposta invece di stupirsi. E bisognerebbe farlo riconoscendo che siamo noi che non capiamo non gli altri che non hanno sentito perché erano distratti, obnubilati dal potere della tv o peggio complici potenziali. E questo significa smetterla di alzare la voce e ripetere sempre le stesse cose. Significa riconoscere la necessità di cambiare punto di vista per capire le ragioni degli altri, per rappresentargli la realtà in una maniera che permetta di costruire significati comuni, appunto comunicare. Significa riconoscere la presenza di una saggezza diffusa attinente soprattutto le cose della vita, anche quelle inquietanti con cui tutti dobbiamo fare e rifare i conti. Significa trovare un equilibrio tra la rappresentazione che ci facciamo della realtà e la realtà come essa è: tornare alle cose. Fare vivere esperienze che confermino le affermazioni. Definire un modo di stare nella società convincente, in sintonia con le affermazioni. Una sintonia umana, che è consapevole dei limiti e degli errori possibili senza moralismi, senza spocchia e soprattutto (credibilmente) autentica. Genuinamente democratica.
La sfida della comunicazione politica del dopo Berlusconi è questa. Mettere a fuoco che la comunicazione diventa efficace se sa generare un clima diffuso attraverso le esperienze quotidiane, i comportamenti. Il Pd, ma tutte le forme di rappresentanza politica, non hanno bisogno di spin doctor ma di costruttori di reti relazionali; certo consapevoli sia dell’importanza dell’interazione con il sistema mediatico, con la democrazia dell’audience, con la politica pop (per dirla con Mazzoleni), sia che l’esperienza della vita di tutti i giorni filtra i messaggi che vengono dai media e li trasforma in criteri di giudizio.
Non si tratta quindi di fenomeni di breve periodo ma di lente stratificazioni nelle quali i comportamenti negativi, quelli che generano delusioni, hanno una capacità distruttiva molto più forte di quelli positivi che creano adesione e appartenenza. Si tratta di costruire una cultura certo non perdendo colpi sul terreno della quotidianità, della tattica. Sapendo traguardare sempre le decisioni dell’oggi a una prospettiva di medio lungo periodo. Non c’è scandalo a proporsi un governo di transizione con chicchessia, basta che non appaia il traguardo ma una tappa del proprio percorso.
Allora quello che succede a Napoli – ieri con i rifiuti oggi con le primarie – crea un cortocircuito drammatico. Distrugge centinaia di Lingotti o di feste popolari. Come si fa ad apparire i sacerdoti delle regole, i difensori della Costituzione più bella del mondo, se poi di fronte a risultati non graditi si decide di cancellare le “proprie” regole? E che dire della vicenda dell’ex sindaco di Bologna? E quanti altri casi del genere vengono vissuti nella vita di tutti i giorni e stratificano il senso comune che i politici sono tutti uguali e che si fa politica principalmente per interessi personali? Ci si rende conto che questo senso comune non attecchisce dove le esperienze dirette permettono alle persone di farsi o mantenere un’altra opinione?
C’è poco da meravigliarsi e molto da interrogarsi. C’è da impostare una lunga marcia senza nascondersi dietro l’emergenza. Questa cosiddetta emergenza ha messo trent’anni a maturare e marcire. Ce ne vorranno altrettanti per uscirne.
Tratto da Europa
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