Storia di facce, di petrolio e d’Italia
17/09/2008
Una riflessione del socio Paolo D'Anselmi, autore di "Critica della Social (ir)Responsibility" e del rercente libro "Il barbiere di Stalin. Critica del lavoro (ir)responsabile":http://www.ferpi.it/ferpi/novita/notizie_rp/libri/chiacchiere-di-bottega-relatori-pubblici-e-analisti-di-politiche/notizia_rp/38155/27.
Non c’era bisogno di riportarla in un bilancio sociale la csr in azione che drappeggiava le stazioni di servizio della compagnia petrolifera Erg: Noi di Erg ci mettiamo la faccia. Riccardo lavora qui per voi. Queste parole accompagnavano la fotografia gigante del gestore nel 2007 e 2008. C’era csr in questa pubblicità perché essa estendeva l’area della responsabilità, coinvolgendo chi lavora. E il cliente apprezzava e premiava con la sosta rifornimento.
Era un esempio di allargamento dell’area di contatto tra lavoratore e cliente in un ambiente sociale e lavorativo spesso furbetto, che nascondeva il non lavoro dietro la privacy e la sicurezza personale, come la dipendente del dipartimento V del comune di Roma, Via Merulana angolo Viale Manzoni, che, richiesta del suo nome per poter avere un riferimento futuro riguardo una certa pratica, scrutava l’interlocutore dal basso verso l’alto e taceva eloquente, come certe figure, nei viali di Roma, in certi film felliniani.
Fare pubblicità facendo leva sul lavoro in senso stretto: la cortesia, il nome dell’interlocutore, l’impronta della sua faccia, appariva più civilizzante che andare in giro per il mondo a mettere patacche e loghi su parafanghi di motociclette gareggianti.
Edoardo Raffinerie Garrone – Erg era nella seconda metà del XX secolo e prime decadi del XXI, una padronale società di petroli basata a Genova. Non doveva essere stato semplice per il management raccogliere il sì dei gestori affinché la loro foto comparisse cubitale sulla strada. Forse fu d’aiuto che il gestore era un padroncino e non un dipendente. Ciononostante non tutti i distributori della marca riportavano i cartelli della promozione, segno di probabile dissenso. Ergo la promozione fu anche uno sforzo di comunicazione e armonia interna alla organizzazione, esempio in azione di quella porosità aziendale secondo la quale i migliori ambasciatori dell’azienda sono i suoi lavoratori.
Che poi i petrolieri facessero all’epoca dei sovraprofitti, cioè profitti oltre la media del capitale nel breve termine, e si potessero perciò sovratassare, come fece il governo nel 2008, era cosa accettabile, ma senza acrimonia perché i profitti dei petrolieri erano lo specchio della follia collettiva più che di aggressività imprenditoriale. Nonostante il caro petrolio, milioni di cittadini si ostinavano alla guida di inutili suv in vicoletti che erano creati pei carretti. L’auto era un imperativo tant’è che in occasione delle Olimpiadi invernali del 2006, a Torino il contribuente italiano aveva finanziato la costruzione della galleria sotterranea per interrare alcuni kilometri di ferrovia che tagliavano in due la città e nell’ampia striscia di città recuperata grazie allo sforzo nazionale, il governo municipale aveva pensato di farci passare un’arteria d’auto a grande scorrimento. Era questa egemonia mentale dell’automobile che generava non solo i sovraprofitti dei petrolieri, ma anche i mezzi pubblici sottoutilizzati e la scarsa presa della mobilità alternativa sul mercato infatti nei pur ricchi Stati Uniti le auto ibride erano già di moda quando in Italia le avevano a stento i tassisti milanesi.
Torino tuttavia ebbe l’occasione di risarcire il cattivo uso del pubblico denaro quando si fece ancora una volta leader di una iniziativa di rinascita nazionale, mutando il proprio payoff dall’automobilistico ‘Torino non sta mai ferma’ al rivoluzionario ‘Torino: tutto è cominciato qui’. Cominciato cosa? Quella piccola avventura che ancora si chiama Italia, della quale ricorse nel 2011 il centocinquantesimo anniversario. Did you remember?