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Sulla prolusione di Emanuele Invernizzi: il dibattito continua, ecco i commenti di Franco Guzzi, Fra

09/03/2004

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INTERVIENE FRANCO GUZZIPer mia colpa, intervengo molto raramente nel dibattito che spesso si accende sul sito Ferpi, così come sui media.  Giustificazioni valide ne ho molte. Vere buone ragioni nessuna.Tra le giustificazioni, devo dire che in più occasioni sono stato tentato dall'intervenire.  E poi è prevalso lo strascicato "... ma lascia perdere".  Non solo perché pressato da priorità più impellenti. E allora perché?Perché allo slancio iniziale ed alle prime righe digitate di getto, si è quasi sempre affacciato nella mia mente il fantasma del commento incompreso, della polemica su un passaggio incompleto, del tormentone in cui si resta inviluppati. E allora? "... ma lascia perdere ...".  In più, avendo anche un ruolo associativo... una ragione in più per lasciare perdere. Caso mai, i miei commenti e considerazioni li faccio direttamente alla persona interessata.Indiscutibilmente il problema è mio e non è addossabile ad altri. Ma se fosse vissuto anche da altri?Per la salvaguardia della qualità del dibattito, è richiesto che gli interventi siano chiari, puntuali, talvolta meditati e se del caso argomentati. Non si può certamente intervenire ‘a vanvera'. Soprattutto quando si tratta di temi importanti come l'evoluzione della professione. E questa è, invece, una buona ragione.Però, non sempre ho la sensazione che alcuni interventi (anche autorevoli, chiari, puntuali, ecc.) siano svolti comprendendo lo spirito di quelli precedenti e per costruire sviluppi ulteriori o sollevare differenti punti di vista. Talvolta mi capita di inciampare in vivisezioni di considerazioni altrui, di cui temo di non riuscire a coglierne il senso.La vita non è fatta solo di bianchi e di neri, ma da una variegata serie di sfumature di grigio. Però, se una tesi è tendenzialmente verso il bianco o verso il nero, ce ne si dovrebbe accorgere e tenere conto. Ovvero, se si è tendenzialmente in accordo, oppure c'è il totale disaccordo, questo dovrebbe essere chiaro da subito. E allora, perché ricercare sempre e comunque almeno una tonalità di grigio da contestare pubblicamente invece di elaborare e costruire su tutte le altre tonalità che tendenzialmente si condividono?Piacevolmente devo dire che, in questa occasione, gli interventi tendono nel tempo più verso la costruzione che la contestazione tout court.  Però ... che fatica!Prendo in prestito due antichi adagi di saggezza popolare. Simili, ma non uguali. "Piuttosto che niente, è meglio piuttosto." e "La ricerca della perfezione è nemica della concretezza." Possono essere (polemicamente?) letti come volontà ad accontentarsi dello status quo. Oppure come volontà di non buttare via ciò che di buono c'è già, anche se imperfetto. Li cito per la seconda ragione, sapendo che l'evoluzione si basa sempre sulla ricerca del miglioramento... verso la perfezione. Perfezione che, però, non è terrena.Lo sviluppo professionale è anche carne viva. Segnata dalle battaglie quotidiane per conquiste personali di medio periodo che non vogliamo certamente perdere. È questa prospettiva concreta che ci fa resistere ed evolvere. Ed è un peccato per tutti quando qualcuno smitizza questa prospettiva o dice addirittura che non c'è. Il nostro lavoro è fatto e continuerà ad essere fatto anche di comunicati stampa. Ma è il come e il perché che cambia ed evolve. Ed è il fascino di questa professione. E non è male se qualcuno, ogni tanto, ci fa riflettere su qualche come e perché che sembrano stare più avanti. Anche se rappresentano solo l'1 per 1.000 dello scenario in cui si opera oggi. Allora, perché dire a tutti, pubblicamente, autorevolmente e con enfasi: "Balle! Sono solo comunicati stampa!"?  Com'era la domanda della giovane laureanda: "Cosa significa secondo Lei "fare relazioni pubbliche alla professione"? Forse la vicenda in corso è un possibile caso da esaminare.Infine, non eludo alcuni giudizi di merito:

Eccellente che, grazie a Emanuele Invernizzi, le Relazioni Pubbliche aprano per la prima volta un anno accademico. Trovo alcuni passaggi della sua prolusione incompleti, non sviluppati a fondo, qualche volta un po' ambigui.  Gliene parlerò direttamente perché è il resto che vale. Che qualche cosa (di forse incompleto) sia stato detto in una occasione così poco avvezza a sentire parlare di Relazioni Pubbliche è e resta straordinario. Si poteva fare meglio in quel luogo e in quella occasione? Forse. Ma non ci deve bastare mai? Probabilmente no.
Condivido al 99% le considerazioni di Furio Garbagnati, compresi i giudizi – che sottoscrivo in toto – nei confronti delle tesi di alcuni ‘mostri sacri'. L'1% che per me manca, riguarda la convinzione che immagine (riflesso) e reputazione (comportamento) sono due strategie distinte, anche se non contrapposte. La prima è prevalentemente nelle nostre mani.  La seconda è sostanzialmente nelle scelte e nei comportamenti dell'organizzazione. Ma la nostra possibilità di influenza nelle scelte dell'impresa è incrementale (ci viene sempre più richiesta) e la nostra capacità di affermarla nel pubblico (solo se esiste realmente) è assolutamente rilevante.
Concludo con una volontaria provocazione sul ‘governo delle relazioni'.  Ma non sembra paradossale pensare di essere realmente in grado di ‘governare' (nel più profondo senso che questo verbo comporta) le relazioni tra due entità essendo parte integrante di una di queste?  Questo verbo di ‘comando' prescrive che l'altro, coscientemente o meno, si lasci ‘governare'. Forse sarebbe più adatto ‘gestire le relazioni', cioè ciò che il relatore pubblico fa (o dovrebbe fare) tutti i giorni. Ebbene, fosse anche legittima questa tesi semantica, sarebbe poco produttivo sollevarla perché Gorel è un concetto ed una aspirazione, oltre che un acuto ed accurato testo fondamentale per chi vuole affrontare le relazioni pubbliche con rigore, professionalità e cultura. Insomma, sarebbe un esempio di polemica disquisitoria. Una dissertazione inutile su una singola tonalità di grigio, rispetto alla ricchezza delle gamme di colori rappresentate nell'insieme della trattazione della tesi del Gorel.
Vorrei che questo mio intervento fosse letto come i pensieri del singolo professionista che sono, senza tenere conto dei ruoli che ho in associazione e in agenzia. In altre parole: che si gestiscano le relazioni con me, anziché governarle.Franco Guzzi
INTERVIENE FRANCESCA ALBANESE
Per prima cosa vorrei congratularmi con Emanuele Invernizzi per il significativo riconoscimento che l'Università IULM ha conferito al suo lavoro e per aver dedicato al tema delle relazioni pubbliche la prolusione per l'apertura dell'anno accademico. Un segnale confortante per chi, come me, auspica che le distanze tra il mondo accademico e i professionisti della comunicazione si riducano sempre di più, perché gli stimoli reciproci possono essere molteplici. Un buon esempio per altre università italiane.Vorrei provare ad inserirmi nel dibattito Ferpi che è scaturito dalla prolusione. Dibattito che mi sembra sia andato oltre il contesto nel quale le riflessioni di Invernizzi sono state espresse. Il passaggio dal mondo accademico all'ambito professionale ha "acceso" le passioni di chi ama questa professione e soffre le difficoltà quotidiane del metterla in pratica. Al di là delle polemiche, credo che questo confronto sia davvero interessante.Sono quattro le questioni che mi preme sottolineare:

E' importante che dal mondo accademico venga oggi più che mai - un segnale forte e chiaro della necessità per le relazioni pubbliche di superare finalmente la politica d'immagine e di riconferire valore strategico al comportamento di un'organizzazione (legato a valori eticamente fondati) per ottenere la "stima" e la "fiducia" degli interlocutori e valorizzare così le relazioni per il raggiungimento di obiettivi più ampi (ad essere sincera non mi piace la parola "reputazione"... che ha bisogno di un aggettivo positivo per colorarsi di buono, ma queste sono idiosincrasie semantiche personali e sono certa di trovarmi d'accordo con Invernizzi sul concetto di base): credo infatti che i ragazzi che si avvicinano a questa professione debbano ricevere una formazione corretta e più vicina possibile alla sua ideale realizzazione.Allo stesso tempo, però, ritengo sia  un dovere dei professionisti,  e della Ferpi prima di tutto, denunciare con forza il rischio attuale che la comunicazione intesa come mera "vetrina" riprenda forza nel nostro Paese, ed inserire questo rischio tra i "cambiamenti in atto" da analizzare con serietà (mi va bene la proposta di Consonni di promuovere un seminario su questo tema, a patto che lo si affronti con una visione problematica e realistica anche se, certamente, costruttiva). Mi piacerebbe poter effettivamente misurare quante organizzazioni, oggi, hanno davvero scelto una politica di comunicazione fondata sulla coerenza tra immagine e comportamento ed hanno concretamente aderito alla responsabilità sociale come principio guida per la governance. Non voglio apparire troppo pessimista, ma sono d'accordo con Muzi Falconi quando afferma che "ilmodello press agentry è vitalissimo e, se è possibile, è ancora cresciuto".
E' indispensabile mettere l'accento sul "governo delle relazioni" (in questo senso interpreto la risposta di Muzi Falconi, ma credo che anche Invernizzi sia d'accordo al di là delle scelte per il discorso pronunciato nel contesto universitario). Non è così scontato nella nostra professione. E credo che non siano necessarie soltanto le tecniche per governare le relazioni, ma soprattutto la capacità di pensare a politiche e strategie adeguate alla crescente complessità in cui lavoriamo. Non dobbiamo sottovalutare le contraddizioni generate dal pluralismo e dalla globalizzazione che caratterizza la nostra società. Governare le relazioni significa, oggi, gestire un livello sempre più alto di conflittualità in uno scenario dove le diverse identità e i diversi interessi più che confrontarsinel dialogo si scontrano nella contrapposizione netta (mi chiedo se il ritorno all'immagine sia proprio dovuto alla difficoltà della nostra professione a far fronte a questa complessità...). Mi piacerebbe che anche nella Ferpi si potessero approfondire queste problematiche.
A proposito del ruolo del comunicatore all'interno di un'organizzazione, come Garbagnati credo che un elemento importante della prolusione di Invernizzi sia quello di aver individuato il ruolo delle relazioni pubbliche ai vertici dell'organizzazione. Nello stesso tempo, però, non bisogna sottovalutare, come dice Vecchiato, il professionista che "non fa parte della coalizione dominante, costretto a lavorare su commessa, su obiettivi/messaggi decisi da altri". Non so se si tratta della "stragrande maggioranza dei casi", ma certamente verifico nel mio lavoro quotidiano che questo accade. Sarebbe utile, allora, poter approfondire l'indagine dello IULM per giungere ad una ulteriore valutazione qualitativa del ruolo attualmente ricoperto dalle relazioni pubbliche.
Ho notato che si fa riferimento esclusivamente al pensiero dei "guru" della comunicazione stranieri, certamente hanno fatto scuola nelle relazioni pubbliche... ma cosa ne è della "letteratura" italiana della comunicazione (... qualcuno di voi sa che provengo dalla "scuola" di Correnti... e quindi può meglio capire tale obiezione)?
Spero che questo dibattito continui. Grazie dell'attenzione.Francesca AlbaneseINTERVIENE FRANCESCO LURATI
Invernizzi con la sua prolusione ha dato il via, anche alle nostre latitudini, a un dibattito che da decenni occupa i nostri colleghi nel resto del mondo.Due sono i temi. Il primo riguarda la questione se le Relazioni Pubbliche sono o possono aspirare ad essere qualcosa di più di una disciplina tecnica chiamata a entrare in campo quando tutto è già stato deciso. Il secondo concerne quello che alcuni irriducibili considerano la dicotomia tra gestione delle relazioni e gestione dell'immagine e, più recentemente, della reputazione. Chi è intervenuto prima di me ha già sviscerato alcuni aspetti importanti del dibattito e mi risparmia così la fatica di ripercorrerlo. Mi limito quindi ad enunciare il mio punto di vista.Se da un canto il dibattito deve essere affrontato, dall'altro costituisce un'enorme perdita di tempo che, nel resto del mondo, probabilmente ha già ha avuto conseguenze negative sulla professione, distogliendo l'attenzione di accademici e professionisti dalle vere tematiche. Infatti, quando noi discutiamo e scriviamo sul nostro ruolo altri sviluppano concetti che riguardano quello che noi facciamo o dovremmo fare. E, cosa ancor più grave, lo fanno senza considerarci. Il risultato è una crescente ghettizzazione delle RP sia a livello di ricerca che di pratica. In altri campi, come ad esempio il marketing e le scienze dell'organizzazione, si stanno infatti sviluppando nozioni che ci riguardano. Quella della reputazione è una tra le tante. Senza entrare nell'ampio dibattito che la riguarda, non possiamo ignorare che essa non è una semplice trovata a stelle e strisce. È un tema che invece si rifà a concetti profondi quali l'identità, l'identificazione, la cultura e i valori aziendali, l'immagine, ecc. Concetti che, detto in inciso, hanno origini europee (e non americane!). Concetti che riguardano quello che le organizzazioni sono e, quindi, come esse si relazionano al loro interno e verso l'esterno. Oggi queste questioni importantissime e centrali alle RP sono più discusse sulle riviste scientifiche di management che sulle riviste di RP, dove invece, ahimè, continuiamo a disquisire abbondantemente sul nostro ruolo. Sul versante professionale non possiamo inoltre ignorare il fatto che sempre più ditte di consulenza aziendale portano a casa mandati altamente strategici riguardanti il cambiamento aziendale, l'issues management, il public affair, ecc.Il campanello d'allarme è stato suonato forte e a lungo. "Le relazioni pubbliche dovrebbero estendersi nel business del business invece che nella presentazione del business. ... Il settore delle relazioni pubbliche soffrirà se dovesse indietreggiare davanti a questa sfida." (Harold Burson, PR Week, 19 ottobre 2001). "Outsiders percepiscono le relazioni pubbliche come una disciplina senza procedure definite, senza un approccio fondato sulla ricerca e la misurazione dei risultati" (David Drobis, CEO Ketchum Public Relations Worldwide, Lucerne, ICO Summit 1999). "Le pubbliche relazioni sono uno strumento tattico importante, ma se resta solo uno strumento tattico ti ritroverai a difendere l'indifendibile anche se sei un eccellente PR." (un professionista citato da D. Moss 2000).Il mio personalissimo parere è che buona parte della professione non ha ascoltato questi ammonimenti e che pochi si rendono veramente conto che il framing di quello che dovrebbe essere la nostra professione è orami in mano ad altri. Ed è un peccato, specialmente per una professione che fa dell'ascolto e del framing due delle sue competenze.Francesco Lurati
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