Santina Giannone
In un mondo alluvionato da informazioni irrilevanti, la lucidità è potere: è da questa consapevolezza che possiamo ripartire per evolvere da 'semplici' tessitori di fiducia attraverso le Relazioni Pubbliche a 'architetti' della fiducia.
Cosa succede quando migliaia di persone in 28 Paesi raccontano il loro rapporto con la fiducia? Emerge una mappa delle relazioni umane e istituzionali complessa, dove stereotipi e cambi di paradigma si mescolano e distinguere gli uni dagli altri diventa un lavoro complesso ma necessario.
Nel titolo della venticinquesima edizione dell’Edelman Trust Barometer campeggia una parola che è un atavico strumento che gli esseri umani utilizzano per difendersi dal mondo e attraverso cui rinunciano, spesso, a decifrarne la struttura: risentimento.
«Le paure economiche si sono radicalizzate in risentimento» denuncia il Time, commentando il report.
Le lamentele partono dalle evidenze, ma diventano convinzioni: il sistema è ingiusto, le imprese e il governo peggiorano la situazione e i ricchi continuano ad arricchirsi mentre i poveri lo diventano sempre di più. Il risultato è un crescente senso di alienazione a cui la rivoluzione tecnologica, a cui era dedicato il titolo della scorsa edizione, contribuisce: permane la profonda preoccupazione per la perdita di posti di lavoro a causa dell'impatto di innovazioni come l'automazione, che impensierisce il 58% dei dipendenti, e della globalizzazione. Il 62% dei lavoratori si preoccupano dei conflitti commerciali internazionali che incidono sui loro mezzi di sostentamento.
La storia che l’Edelman Trust Barometer 2025 racconta è quella di un mondo dove il sismografo della fiducia globale segna una scossa profonda. Il 61% delle persone si sente tradito dalle istituzioni, quattro giovani su dieci considerano accettabile la protesta violenta, il divario tra chi ha e chi non ha si trasforma in un abisso di sfiducia. Non è solo una questione di numeri: è il racconto di una società dove il 63% dei cittadini fatica a distinguere tra informazioni veritiere e manipolazioni, dove il 69% teme che i leader mentano deliberatamente.
Chi vorrebbe vivere in un mondo così?
La strada del risentimento è quella che confina con il pregiudizio, una delle scorciatoie che abbiamo evoluto per facilitare le nostre scelte. Spesso ha a che fare con la nostra esperienza, perché rende il vissuto personale una legge sotto cui cade ogni fenomeno del mondo.
Il pregiudizio, in quel caso, prende la via della generalizzazione.
In altri casi, però, è l’escamotage per oltrepassare la selva di implicazioni impegnative che prevede un ragionamento, per dis-impegnarsi dal dialogo e dal confronto e occupare una posizione ideologica che ci fa sentire difesi. In quel caso risentimento e pregiudizio sono l’altra faccia della deresponsabilizzazione.
Eppure, proprio in questo scenario di disgregazione, emergono segnali che possono diventare punti di riferimento se analizzati e agiti da chi ha lucidità.
Come ci ricorda lo scrittore Yuval Noah Harari: «in un mondo alluvionato da informazioni irrilevanti, la lucidità è potere». Ed è da questa consapevolezza che possiamo ripartire per evolvere da “semplici” tessitori di fiducia attraverso le Relazioni Pubbliche a “architetti” della fiducia.
In un mondo eroso dal risentimento, infatti, competenza ed etica non sono più sufficienti da sole: la fiducia si costruisce attraverso una delicata alchimia di azioni concrete, trasparenza e capacità di ascolto che non può essere improvvisata.
Allora, da dove partire? Dal cogliere e valorizzare gli spunti positivi per trasformarli in buone notizie.
Il business mantiene la sua posizione di istituzione più affidabile: la fiducia in questo ambito è cresciuta di ben 19 punti dal 2020 per la sua capacità di generare impatto tangibile. Le persone cercano punti di riferimento credibili, ma li valutano attraverso una lente più critica e consapevole.
Qui il risentimento scricchiola: chi è convinto delle proprie opinioni, vi rimane rintanato dentro. Non vuole mettere la testa fuori nel mondo.
E invece no: il 77% delle persone si aspetta che le organizzazioni dimostrino non solo di saper fare, ma di saper fare la differenza. E chiedono senza mezzi termini una guida lungimirante ai CEO e chi si trova in posizioni di responsabilità perché agisca, quando ha la possibilità di fare la differenza e migliorare la performance. Per il business e per le persone.
Le persone non cercano più solo competenza tecnica, ma una combinazione di impatto tangibile sulle loro vite (73%), coerenza tra parole e azioni (68%), capacità di innovare mantenendo l'etica (65%), trasparenza e accountability (62%).
Sono queste le chiavi di una comunicazione che punti a costruire non una performance di fiducia, ma un ecosistema in cui la fiducia è linguaggio condiviso. L’obiettivo di chi comunica e affianca le istituzioni e le aziende in questo panorama complesso è di restituire alle persone un senso di controllo sul proprio destino, come invoca in chiusura l’articolo del Time.
Questo vuol dire “smontare” la complessità per raccontarla senza banalizzarla e dunque dotarsi di strumenti per rendere la conoscenza una via di inclusione e non di potere.
Agire sulla comunicazione vuol dire agire sulla governance, dove lo stakeholder engagement non sia più una tappa della fase di analisi, ma diventi un momento attivo del processo.
Un compito che ha bisogno di leader: ma la comunicazione, del resto, non è una delle qualità migliori di chi ambisce ad essere leader di pensiero oggi?