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Una proposta per (salvare) la comunicazione pubblica

04/07/2012

In tempo di crisi e di tagli alle spese tentare una difesa della comunicazione pubblica è molto difficile. Eppure non impossibile. Il taglio è giusto e necessario e va accettato ma a patto di ripensare in toto la comunicazione che è un diritto dei cittadini e non “pranzi e ricevimenti”. La proposta di _Matteo Colle._

di Matteo Colle
Va da sé che in un’epoca di crisi e di tagli draconiani alla spesa di Stato e parastato, provare a difendere la comunicazione pubblica è una missione quasi impossibile. E non è per caso che sono state sparute le voci che si sono levate contro le scelte degli ultimi esecutivi che hanno messo un bel – 80% davanti a tutte le spese di rappresentanza e comunicazione della Pubblica Amministrazione. Che serva una cura dimagrante per fare quadrare i conti e per eliminare scialacqui di ogni sorta, non serve dirlo qui. Nemmeno vogliamo stare qui a frignare che no, non nel mio giardino, che se proprio si deve tagliare che non si faccia sul rapporto tra cittadini e amministrazione di cui la comunicazione è mediatrice. Ché, a guardar bene, l’argomento è peloso: ognuno reclama per sé e per la sua professione e competenza lo specialissimo ruolo di privilegiata. E allora sì tagliamo, ma non le mie piantine così speciali. No. La comunicazione pubblica, come molte delle cose che la pubblica amministrazione fa, va tagliata. E’ il suo destino, come lo è della PA quella di diventare sempre meno erogatrice di servizi e sempre più mediatrice e organizzatrice di soluzioni ai problemi dei cittadini. Soluzioni che spesso possono, per non dire devono, venire dal basso.
E invece ci siam ridotti far la guerra tra poveri. E sempre in tema di pelosi atteggiamenti, come non dare ragione ai tanti comunicatori pubblici che si sono trovati a dover maneggiare i bizzarri pareri delle corti dei conti italiane che a fasi alterne fornivano la loro personale versione della comunicazione pubblica. Per cui, per dire, se a Genova gli avvisi ai genitori sulle iniziative estive dedicate ai bimbi sono salve perché rientrano tra le comunicazioni, chiamiamole così, di servizio, a Milano no perché un magistrato contabile così ha sentenziato. Salvo poi sentire raccontare sempre da un giudice della corte dei conti, in un peraltro bel convegno organizzato dalla delegazione lombarda di Ferpi proprio sui tagli alla comunicazione pubblica, che sì… però… la Corte dei Conti fa pareri che non sono vincolanti e che sì forse, facendo un regolamento…
Insomma istruzioni per l’uso all’elusione della Legge per funzionari pubblici. Se non fosse ridicolo sarebbe scandaloso.
Allora prendiamolo sul serio il taglio dell’80%, senza piangere, ma provando a ripensare al ruolo della comunicazione negli enti pubblici. La legge 150, che ha rappresentato una svolta nella professione, va ripensata e aggiornata. Urp, ufficio stampa, portavoce, possono trovare sintesi in un ufficio relazioni esterne senza duplicare o triplicare posizioni organizzative e direzioni. La comunicazione di natura pubblicitaria o editoriale tradizionale, che ancora tanta parte hanno nelle gare di comunicazione della PA, deve lasciare spazio a formule open content e crowdsourcing che già si vanno sperimentando in molti enti. Le stesse procedure di affidamento, fatte salve trasparenza e affidabilità dei concorrenti, devono essere ripensate dando la possibilità a piccole agenzie, singoli professionisti consorziati di esprimere le potenzialità creative che esistono sul territorio. Gli investimenti infrastrutturali, le grandi opere, messe a gara dalla PA devono prevedere tra gli oneri per l’appaltatore anche quelli di comunicazione e di partecipazione dei cittadini (e non solo quelli di pubblicità che si risolvono in un cartello di cantiere) al progetto, senza che questi rientrino nelle spese correnti dell’Amministrazione.
Ecco, se dovessimo scrivere un position paper dei comunicatori pubblici, più che difendere l’orticello o la piantina, sfideremmo il decisore. E’ necessario il taglio dell’80%? Ci stiamo. Ma a condizione di ripensare la comunicazione pubblica dalle sue fondamenta, dando libertà alle amministrazioni locali, facendo tesoro di quanto ben fatto finora. Ci stiamo: ma a patto che l’80% di taglio valga anche per le funzioni centrali dello Stato, ministeri e compagnia, che si sono autoesclusi. Ci stiamo se si consente alle pubbliche amministrazioni di fare pagare a chi costruisce le grandi opere o le ottiene in concessione, i costi della indispensabile comunicazione ai cittadini.
Ci stiamo se nonostante l’80% di tagli la si smette di pensare che comunicazione siano pranzi, ricevimenti e qualche convegno di belletto.
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