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Usa: alla sbarra il marketing che sposta le masse

10/03/2009

Wal-Mart chiamato in tribunale dalla famiglia di un dipendente: travolto e ucciso dalla folla in ressa per gli sconti del Thanksgiving. Contestato all’azienda l’uso di tecniche promozionali volte a creare il caos. Dibattito aperto su comunicazione e ordine pubblico.

Marketing manager e pubblicitari devono chiedersi se i loro piani di comunicazione possono turbare l’ordine pubblico. Non è una legge a imporlo (almeno per adesso), ma un moto di buon senso che negli Stati Uniti in tanti hanno sottoscritto: esperti di comunicazione, stampa quotidiana, politici, forze dell’ordine e consumatori. A generare questo singolare dibattito etico è stato un fatto altrimenti destinato alle pagine di cronaca.


È successo lo scorso 28 novembre, alle cinque del mattino, dentro un magazzino Wal-Mart di Long Island (New York). All’apertura delle porte elettroniche circa duemila persone si sono riversate all’interno. Nella foga di entrare, prima hanno distrutto la vetrata e poi hanno travolto e ucciso l’unico addetto alla sicurezza presente: Jdimytai Damour, lavoratore precario di 34 anni. Al Pronto Soccorso sono arrivati anche numerosi feriti, tra cui una donna al sesto mese di gravidanza.


Non era un giorno qualsiasi, ma il cosiddetto “black friday”. Ovvero il venerdì successivo alla festa del Thanksgiving (26 novembre), tradizionale appuntamento degli americani con la giornata di forti sconti e promozioni (su prodotti identificati da un bollito nero) che dà il via allo shopping pre-natalizio. Ogni anno all’apertura dei negozi gli incidenti non mancano. Mai però la corsa all’affare era finita in tragedia.


A puntare l’indice contro un certo modo di fare comunicazione commerciale è stata la famiglia della vittima. Nell’atto di citazione contro Wal-Mart, depositato presso la Corte distrettuale del Bronx, c’è l’accusa di aver utilizzato tecniche comunicative (in termini di marketing e pubblicità) dirette ad attirare una grande quantità di persone e a creare un clima di follia collettiva.


Secondo il “Washington Post” a dover rispondere del caos è proprio Wal-Mart, perché i prodotti scontati erano davvero pochi rispetto ai clienti interessati. Ma il quotidiano della Capitale ha bacchettato anche i consumatori: “La caccia allo sconto ha fatto smarrire il senso di umanità”. Le forze dell’ordine, invece, hanno biasimato l’affidamento in autogestione della sicurezza esterna e interna al grande magazzino: “C’erano tutte le premessa per una tragedia”, ha commentato il capo della Polizia.


Tra gli esperti di marketing, poi, c’è addirittura chi chiede un intervento legislativo per disciplinare questo tipo di vendite: imponendo ai retailer la predisposizione di ampi spazi espositivi con stock di prodotti in saldo in numero adeguato, per non mettere in competizione i compratori. Un’ipotesi decisamente respinta dalla National Retailer Federation (il sindacato dei commercianti): “Quello che è successo da Wal-Mart non è indicativo di quanto accade nel resto del Paese”, ha detto a “Bloomberg” un portavoce dell’Organizzazione.


Sarcastico e provocatorio, infine, il commento di un blogger: “Ucciso dal marketing! Questa è buona! Allora potrei fare causa al marketing che mi ha convinto a comprare due paia di scarpe che non volevo. Per me resta, plain and simple, un caso di omicidio”. Già. Ma anche in America la responsabilità penale è personale. E diventa difficile, se non impossibile, formulare una circostanziata imputazione di concorso in omicidio in capo a centinaia e centinaia di persone. In attesa della sentenza, allora (che negli States è legge), non resta che il buon senso.


Rosario Vizzini – Redazione Cultur-e
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